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Rapporto Oxfam 2023: per la prima volta negli ultimi 25 anni aumentano al contempo disuguaglianze, fame e povertà estrema
di Andrea Vento * L'annuale rapporto dell'organizzazione Oxfam sulla disuguaglianza globale viene regolarmente emesso in concomitanza del Word Economic Forum di Davos in Svizzera, allo scopo di indurre la leadership planetaria a riflettere sui nefasti effetti sociali e ambientali prodotti delle loro politiche, le quali continuano a portare esclusivo vantaggio ad una ristretta elite a discapito della maggioranza della popolazione mondiale. Quest'anno, i 2.700 leader mondiali fra politici, amministratori delegati delle principali multinazionali e big della finanza presenti alla consueta passerella mondiale, ormai giunta alla 53esima edizione, hanno visto aleggiare sul loro summit l'immancabile ombra delle critiche dei movimenti e del rapporto Oxfam che non casualmente in italiano è stato tradotto in "La disuguaglianza non conosce crisi". La ratio del titolo è conseguente al fatto che nel biennio 2020-21, i più ricchi fra i ricchi del pianeta, vale a dire il top 1%, ha continuato come da trend consolidato ad accumulare ricchezza più di tutto il resto dell'umanità. Tale incremento ha, tuttavia,  toccato livelli di crescita inediti, mentre, in contemporanea, per la prima volta, a livello mondiale negli ultimi 25 anni è aumentata anche la povertà e la fame. Il dominante capitalismo liberista ha, dunque, impresso alla forbice della disuguaglianza un ampliamento mai registrato in precedenza. Ciò in conseguenza del sovrapporsi della crisi economica pandemica a quella ambientale, quest'ultima caratterizzata da fenomeni estremi, come siccità, cicloni e inondazioni, sempre più devastanti, i quali hanno inevitabilmente innescato una drammatica crisi sociale che ha spinto milioni di persone sotto la soglia della povertà estrema e nel baratro della fame, costringendone una massa crescente a migrare forzatamente. Tutto ciò mentre le grandi multinazionali, soprattutto quelle operanti in rete, hanno conseguito, al pari della grande finanza,  profitti stratosferici, i quali hanno generato una concentrazione apicale della ricchezza mai registrata in precedenza. Guardando alle cifre del rapporto rileviamo come nel biennio 2020-2021, l’1% più ricco della Terra si è accaparrato quasi 2/3 della nuova ricchezza generata, mentre le principali 95 multinazionali dell'energia e dell'agro-business hanno più che raddoppiato i profitti rispetto alla media del periodo 2018-2020. Con il drammatico paradosso che, nel 2022, mentre queste ultime si arricchivano col commercio di beni e prodotti alimentari e distribuivano, grazie agli extra-profitti, dividendi pari a 257 miliardi di dollari ai propri azionisti, al contempo 800 milioni di persone soffrivano la fame. In sostanza, per ogni 100 dollari di nuova ricchezza prodotta, sempre nel biennio in questione, 63 dollari sono stati appannaggio dell'1% straricco e appena 10 dollari sono andati al 90% più povero, mentre i restanti 27 dollari ai restanti ricchi, pari al 9% della popolazione mondiale (grafico 1). In termini reali, in 2 anni, l'1% degli ultraricchi ha registrato un incremento dei propri patrimoni pari alla stratosferica cifra di 26.000 miliardi di dollari, poco più di una volta e mezzo il Pil della Cina (16.500 miliardi di dollari nel 2021), mentre il, redditualmente variegato, restante 99% dell'umanità si è fermato a 16.000 miliardi di dollari. Gli effetti della crisi pandemica, secondo la Banca Mondiale, hanno prodotto sul 40% più povero dell'umanità, perdite di reddito doppie rispetto a quelle subite dal 40% più ricco, determinando inevitabilmente anche un aumento nella disparità globale di reddito, oltre a quelle di ricchezza. L'eccezionale incremento della concentrazione di ricchezza risulta frutto, sia della compiacente azione dei governi, sia della politica monetaria non convenzionale adottata dalle Banche Centrali, il "Quantitavie Easing" (QE), tramite il quale le stesse hanno immesso una enorme massa di liquidità nei propri sistemi monetari[1][1], ufficialmente per favorire la ripresa economica e far salire il tasso di inflazione intorno allo strategico obiettivo del 2%. Tali politiche monetarie espansive, attuate con tempistica ed entità differenziate dalle varie Banche Centrali occidentali[2][2] nell'arco di tempo compreso fra la fase successiva alla crisi economico-finanziaria del 2008-2009 fino alla ripresa post-covid, hanno in realtà sortito principale effetto di  incrementare i valori degli asset finanziari e, conseguentemente, i patrimoni dei miliardari. Sicuramente le misure di intervento dei governi a sostegno delle proprie economie e delle fasce sociali più deboli, durante la Grande crisi del 2008-2009, è stata una strategia appropriata; tuttavia, forti critiche hanno, invece, investito le politiche di austerità fiscale implementate nell'Area dell'euro nella successiva fase di ripresa, le quali hanno finito per innescare la crisi debitoria di inizio anni '10 nei paesi marginali dell'Eurozona, denominati col dispregiativo appellativo di Piigs[3][3]. Infatti, mentre buona parte dell'area monetaria comune tornava in recessione, contemporaneamente negli Stati Uniti, grazie a tempestive politiche monetarie (QE) e fiscali espansive, la ripresa continuava ad apprezzabili tassi di crescita (grafico 2) La Bce a causa delle resistenze dei Paesi "falchi" dell'Austerity, Paesi Bassi, Finlandia e Germania in primis, il QE è stato introdotto dall'allora presidente della Bce, Mario Draghi, solo all'inizio del 2015, quando l'intera Eurozona si trovava sull'orlo del collasso. Tuttavia, gli effetti del QE sono risultati alquanto modesti sia in termini di ripresa economica, ad oggi il nostro Paese si trova ancora al di sotto del picco del 2007 (grafico 3), che di rialzo dell'inflazione, in quanto i governi e la Commissione Europea non si sono impegnati nel garantire che l'enorme liquidità immessa avesse concrete ricadute sull'economia reale o, quantomeno, che le cospicue plusvalenze ottenute dalla grande finanza venissero ridistribuite tramite la leva fiscale. Conseguentemente le fortune dei miliardari, grazie anche al periodo pandemico, durante il quale alcune tipologie di imprese collegate alla rete hanno conseguito extraprofitti stratosferici, sono continuate ad aumentare, tant'è che l'1% più ricco della popolazione mondiale, a fine 2022, è arrivato a detenere il 45,6% della ricchezza globale, mentre la metà più povera dell'umanità appena lo 0,75%. Inoltre, il ghota degli 81 principali miliardari hanno accumulato più ricchezza di metà della popolazione mondiale. Squilibri interni all'interno sistema economico-sociale globalizzato, non solo eticamente inaccettabili, ma addirittura nel medio periodo, forieri di destabilizzazione dello stesso. Gli effetti della crisi economica, alimentare e ambientale Contemporaneamente all'eccezionale aumento di ricchezza conseguito dal 1% più ricco a livello mondiale e agli extraprofitti delle grandi multinazionali di alcuni comparti, in questi primi anni del decennio '20 a seguito della crisi pandemica, di inappropriate politiche governative e dell'impennata inflattiva, abbiamo registrato anche una crescita della povertà e della fame, oltre a una diminuzione dei posti di lavoro e dei salari che hanno pesantemente impattato sulle vite delle persone già in condizione di fragilità sociale. Il consolidato trentennale trend globale di riduzione della povertà si è, infatti, bruscamente interrotto determinando la paradossale ed inedita situazione nella quale la ricchezza e la povertà, entrambe estreme, sono al contempo sensibilmente aumentate. Ben 70 milioni di persone sono, infatti, precipitate nel 2020 sotto la soglia di povertà, dei 2,15 dollari al giorno di reddito, corrispondenti ad un aumento dell'11%. Nonostante nel 2021 tale tendenza abbia subito un'inversione, per l'anno appena concluso l'UNDP, il programma dell'Onu per lo sviluppo, stima che solo nel suo secondo trimestre 71 milioni di persone siano nuovamente scese in povertà a causa del rialzo dei prezzi delle materie prime (+ 18% beni alimentari e +59% energia). Le causa della fiammata inflattiva, peraltro iniziata già nell'autunno 2021, è riconducibile a difficoltà di approvvigionamento causati dalla ripresa della domanda nella fase post-pandemica e dalla guerra in Ucraina, alle spregiudicate attività della speculazione finanziaria ed alle ciniche strategie delle multinazionali, non che al crescente impatto dei cambiamenti climatici sulle produzioni agricole. Conseguentemente, sono state stimate dalla Banca Mondiale in 828 milioni le persone che nel 2021 hanno sofferto la fame, pari al 10% dell'umanità, il 60% delle quali  donne e ragazze[4][4]. Per quanto riguarda l'aspetto salariale, dall'analisi condotta in 96 Paesi da Oxfam sui valori delle retribuzioni, è emerso come 1,7 miliardi di lavoratori abbiano subito una crescita dell'inflazione superiore a quella dei salari. La contrazione dei salari reali, misurata in base all'effettivo potere d'acquisto, avrà come inevitabile riflesso sia un aumento dei lavoratori in condizione di povertà, i cosiddetti working poors, che delle disuguaglianze, queste ultime aggravate dalla crescita del lavoro informale che su scala globale sta superando addirittura quella dell'occupazione regolare. Conclusioni Il quadro appena dipinto caratterizzato da crescenti disuguaglianze e maggiori difficoltà sociali, rischia di aggravarsi nell'anno appena iniziato, anche alla luce delle dichiarazione della Presidente del Fmi Kristalina Georgieva, la quale, in una intervista di inizio gennaio alla Tv statunitense CBS, ha affermato che dal punto di vista economico il 2023 risulterà "più duro dell'anno che ci siamo lasciati alle spalle" e che l'istituzione di cui è a capo ritiene che "un terzo dell'economia mondiale sarà in recessione" a causa del rallentamento di Stati Uniti, Unione Europea e Cina. Alla luce delle fosche previsioni della presidente del Fmi sull'andamento dell'economia mondiale, non vediamo altra strada possibile all'implementazione di politiche fiscali espansive (vale a dire aumentare la spesa pubblica) per far fronte all'aumento della povertà e della fame, ai cambiamenti climatici e all'impatto dell'inflazione sui ceti sociali più fragili. Ciò a causa del fatto che, ancora una volta, la maggioranza dei governi sono intenzionati a proseguire sulla fallimentare strada dell'austerità fiscale, riducendo la spesa pubblica, principalmente a causa delle imposizione delle istituzioni finanziarie sovranazionali. La stessa Oxfam prevede, infatti che, nel quinquennio 2023-27, attueranno politiche restrittive di bilancio a danno della spesa sociale, pari a ben 6.700 miliardi di dollari, circa 2/3 dei Paesi mondiali (148 per la precisione), e che nel 2023, il 54% degli Stati lo stanno già pianificando. Le politiche economiche neoliberiste e restrittive di bilancio hanno già mostrato la loro inefficacia dal punto di vista economico, come nella crisi debitoria dei Paesi marginali dell'Eurozona, e i loro nefasti effetti a livello sociale. In considerazione di ciò, è assolutamente necessario un riposizionamento in senso diametralmente opposto introducendo misure straordinarie, come la tassazione aggiuntiva degli extraprofitti, e altre strutturali, come la reintroduzione di una fiscalità progressiva più incisiva sui redditi elevati e sul capital gain, l'utile da capitale. Gli effetti socialmente disastrosi che abbiamo appena esposto, pur avendo radici profonde, risultano frutto anche delle politiche economiche attuate durante la crisi pandemica, nel cui contesto, non solo il 95% dei Paesi non ha aumentato la già discendente e blanda pressione fiscale in essere sui redditi più elevati (grafico 4), sulle grandi imprese e sul capital gain della speculazione finanziaria, ma, addirittura, in alcuni casi l'hanno anche diminuita, a beneficio dei "soliti noti". La riduzione della pressione fiscale sui redditi più elevati in corso ormai da 40 anni e gli sgravi fiscali a vantaggio dei ricchi e delle multinazionali, risultano la causa originaria dell'aumento delle disuguaglianze, col paradosso che in molti Paesi i ceti sociali subalterni e i lavoratori risultano soggetti ad una tassazione maggiore. Il proprietario di Tesla, Elon Musk primo miliardario mondiale nel 2022 secondo Forbes[5][5], fra il 2014 e il 2018, ha pagato un'irrisoria "effettiva aliquota fiscale" di circa il 3%. A livello mondiale solo il 4% dell'intero gettito fiscale proviene dalle imposte sui patrimoni posseduti, anche a causa del fatto che circa la metà dei miliardari mondiali ha la residenza fiscale in Paesi che non contemplano tasse di successione sui discendenti diretti, avendo così l'opportunità di trasferire ai loro eredi ricchezze complessive pari a 5.000 miliardi di dollari,una cifra maggiore del Pil annuo dell'intero continente africano. Il reddito dei miliardari, in prevalenza frutto di rendite, risulta tassato mediamente al 18%, la metà dell'aliquota massima applicata su salari e stipendi. Un sistema fiscale, frutto della visione neoliberista del sistema capitalistico che sta portando l'umanità verso il collasso economico e sociale e che necessita di essere radicalmente riformato, reintroducendo una significativa progressività fiscale, come era in vigore fino agli inizi degli anni '80. Negli Stati Uniti, infatti, l'aliquota massima federale sullo scaglione più elevato di reddito, si attestava su di una media dell'81% fra il 1944 e il 1981, all'alba della nefasta era Reagan. Anche in Italia, fino agli anni '80, l'aliquota massima raggiungeva il 73% ed era inserita in un contesto fiscale progressivo il cui gettito, impiegato tramite appropriate politiche ha consentito di coniugare crescita economica e progresso sociale, grazie alla creazione di un ampio Welfare state a vantaggio soprattutto dei ceti inferiori. Per reintrodurre un minimo principio di equità fiscale, secondo Oxfam basterebbe applicare una tassa annua del solo 5% sui più ricchi della Terra per ottenere un gettito fiscale di 1.700 miliardi di dollari all'anno, i quali sarebbero sufficienti ad estirpare la povertà e la fame a livello mondiale, a  varare un piano di riduzione degli impatti dei cambiamenti climatici e a garantire assistenza sanitaria e protezione sociale a tutte le popolazioni dei Paesi a medio e a basso reddito[6][6]. Le strade per rimediare a questa catastrofe sociale, umanitaria e ambientale esistono, ce lo insegna la storia economia, sono le volontà politiche che, invece, mancano. Non è pensabile di combattere l'inarrestabile crescita delle disuguaglianze, l'aumento delle sofferenze sociali e le devastazioni ambientali procrastinando le stesse politiche che ne sono state causa; il cambio di paradigma potrà, tuttavia, avvenire solo tramite presa di coscienza della situazione da parte dei ceti sociali subalterni di ogni latitudine e imbastendo una lotta, duratura e coordinata a livello internazionale, contro la ristretta plutocrazia mondiale ed il ceto politico dominante ad essa subalterno. * Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati [1][1] Il QE realizzato dalla Fed dal 2009 al 2014 per un ammontare di oltre 3.500 miliardi di dollari  https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/saggi/1470-il-quantitative-easing-della-bce-unoperazione-necessaria-non-sufficiente La Bce in 7 anni di QE (marzo 2015-luglio 22) ha acquistato titoli governativi e corporate per un totale di 4.900 miliardi di euro.  https://www.ilsole24ore.com/art/liberarsi-titoli-stato-possibile-strategia-bce-e-sue-conseguenze-AElxiZKC [2][2] Fed, BoE, Bce e BoJ, rispettivamente Federal Reserve, Bank of England, Banca Centrale Europea e Bank of Japan. [3][3] Acronimo dispregiativo per indicare Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna [4][4] https://www.worldbank.org/en/home [5][5] https://forbes.it/2022/04/05/elon-musk-e-per-la-prima-volta-al-comando-della-classifica-dei-piu-ricchi-del-mondo/ [6][6] Fonte: Fight Inequality Alliance dell'Institute for Policy Studies di Oxfam e dei Patriotic Millionaires