Alberto Negri - 6.1.22 - Manifesto
Con una dichiarazione congiunta i cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Cina, Stati Uniti, Francia e Russia si sono espressi a inizio anno, e in vista della conferenza sul Trattato di non proliferazione (Tnp), per un futuro senza armi nucleari, sempre ambiguamente, visto che le detengono e le ammodernano per la cosiddetta «deterrenza». Peccato che alcune potenze atomiche come Israele, India, Pakistan e Corea del Nord non aderiscano al trattato. Cose che in fondo riguardano pure l’Italia (80 testate), la Turchia (50), Germania e Olanda (20), tutte nazioni che aderiscono al programma Nato di nuclear sharing.
Israele poi non ammette neppure – a differenza di India, Pakistan e Corea Nord – di condurre test nucleari ma possiede circa 400 testate che può lanciare con missili, aerei e sottomarini e si oppone attraverso gli Usa a trattare seriamente un accordo nucleare con l’Iran. Dell’atomica presunta di Teheran si parla tutti i giorni, di Israele come unica potenza nucleare del Medio Oriente si tende a tacere. Soprattutto in questo momento dove gli stati arabi entrano nel Patto di Abramo con Tel Aviv firmando accordi economici, tecnologici (Emirati) e militari (Marocco) che stanno cambiando gli equilibri regionali.
Israele è il dottor Stranamore del Medio Oriente. E non a caso i tentativi iracheni (Osirak, 1981) e siriani (Deir ez Zhor, 2007) di entrare nel nucleare civile sono stati regolarmente bombardati da Israele che oggi con attacchi hacker e altri mezzi colpisce costantemente l’Iran, dal sabotaggio degli impianti all’assassinio degli scienziati iraniani. L’Iran, oltre alla Siria, è il vero poligono di tiro israeliano, quello che con cui invia alle potenze mediorientali il messaggio più diretto: siamo in grado di colpire ovunque e chiunque. Il bello è che nessuno dice una parola, neppure la Russia.
La potenza nucleare iraniana, insieme all’occupazione dei territori palestinesi, è l’emblema del doppio standard di cui gode lo Stato ebraico. Quella del nucleare israeliano è tra le questioni più ambigue che attraversano la storia recente della regione. L’introduzione dell’arma nucleare in Medio Oriente già alla fine degli anni Sessanta ha rappresentato un enorme “game-changer” strategico per i decenni a venire. Nel 1967, alla vigilia della guerra dei Sei Giorni, Israele aveva già la «sua» bomba grezza. Durante la Guerra dello Yom Kippur nel ‘73 vennero assemblate 13 atomiche, ognuna da 20 chilotoni.
Nonostante questo, e i numerosi conflitti in cui Israele è stato coinvolto negli ultimi decenni, la capacità nucleare israeliana non è quasi mai menzionata, né dai nemici né tanto meno dagli alleati. Ufficialmente non esiste alcun riconoscimento da parte del governo israeliano dell’esistenza di tale programma e ogni articolo della stampa israeliana che ne parla viene revisionato dalla censura della sicurezza nazionale.
Del resto, Israele, pur di avere l’atomica, si è fatto beffe persino del suo più stretto alleato, gli Stati Uniti. All’inizio fu la Francia ad aiutare Israele a costruire il centro nucleare di Dimona (Beersheba), i legami erano così stretti che quando Parigi sperimenta negli anni Sessanta la sua atomica nel deserto algerino, gli israeliani sono gli unici stranieri presenti. Allora le divergenze tra Washington e Tel Aviv erano tali che gli israeliani dovettero accettare ispezioni americane ogni sei mesi. Le ispezioni durarono sette anni, dal ’62 al ‘69. Agli ispettori fu permesso di visitare soltanto il livello superiore del sito, mentre gli altri sei livelli sotterranei, ovvero quelli contenenti gli impianti di lavorazione e stoccaggio del plutonio per le armi, vennero occultati.
Il tabù nucleare venne messo a rischio dalle rivelazioni di Mordecai Vanunu, impiegato nel centro di Dimona che nel 1986 raccontò i segreti nucleari al Sunday Times. È interessante ricordare che gli israeliani, per non compromettere i rapporti con il Governo Thatcher, sequestrarono Vanunu a Roma dove si ritiene che l’operazione del Mossad sia stata insabbiata dalla procura, come ha scritto recentemente Michele Giorgio sul manifesto.
Vanunu è stata l’unica fonte interna sul programma atomico di Israele consentendo allora di valutare l’arsenale israeliano attorno alla cifra di 100-200 testate, di cui alcune anche termonucleari, indicando una potenza di 120-150 megawatt per ordigno, fra cui “boosted bombs” (ordigni a fissione potenziati), bombe al neutrone, testate trasportabili da F-16 e dai missili Jericho-II. Le boosted bombs evidenziarono un livello di sofisticazione il cui sviluppo avrebbe richiesto una serie di test nucleari che però non risultarono mai avvenuti.
Tutti sanno ma tutti tacciono. La Germania ha fornito a Israele i sottomarini di classe Dolphin con lanciatori per missili con testate nucleari. Questi sottomarini viaggiano ovunque, dal Mediterraneo, all’Oceano Indiano, al Golfo, tenendo sotto tiro i nemici ma adesso anche gli alleati arabi dello stato ebraico. Ecco un altro incentivo per entrare nel Patto di Abramo. Non è dato sapere a quanto ammontino oggi le testate possedute da Israele, tuttavia la comunità militare internazionale sostiene che il numero vada dalle 200 alle 400.
L’ex presidente americano Jimmy Carter in un’intervista al Time nel 2014 rispondendo alla domanda «Cosa pensa del nucleare dell’Iran?», disse: «I leader religiosi dell’Iran hanno giurato che non fabbricheranno armi nucleari. Se mentono, allora non lo vedo come una grande catastrofe perché avranno solo una o due armi atomiche. Israele probabilmente ne ha circa 300». Il Dottor Stranamore è servito.