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AUKUS-UE: venti di guerra nel quadrante indo-pacifico
di Gregorio Piccin * e Marco Consolo * Australia, Stati Uniti e Regno Unito hanno recentemente siglato l’accordo strategico-militare Aukus in funzione dichiaratamente anti-cinese nel quadrante indo-pacifico. In realtà si tratta della formalizzazione di una esclusiva cabina di regia all’interno di una coalizione più ampia, col medesimo fine, che comprende da anni anche Paesi come il Giappone, la Corea del Sud e l’India. Si tratta di un passo avanti nella nuova guerra fredda (per il momento...) statunitense contro Russia e Cina e, rispetto a quest’ultima, il completamento di un percorso avviato col famoso “pivot to Asia” di Obama. Un ulteriore colpo ad una qualsiasi politica di pace, di distensione ed una ulteriore spinta verso la corsa globale agli armamenti (anche nucleari). Il ritiro unilaterale dall’Afghanistan da parte degli Stati Uniti e il clamoroso calcio nel sedere alla cantieristica francese contestuale al patto Aukus (con la cancellazione da parte dell’Australia di una commessa da decine di miliardi di euro per la fornitura di una flotta di sommergibili) hanno semplicemente ribadito agli alleati del blocco euroatlantico che la così detta “anglo-sfera” rappresenta la guida suprema della belligeranza globale, Nato compresa. La frustrazione dell’espansionismo francese nel Pacifico non ha sortito particolare sgomento e moti di solidarietà nelle cancellerie europee. Certo Aukus ed Afghanistan hanno fatto divampare un dibattito sulla necessità di istituire un esercito europeo. Ma questo dibattito è stato subito chiuso dalla Commissione europea: la costituzione di questo fantomatico esercito “…non è al momento in agenda…” ha riferito in un recente e chiaro comunicato la portavoce Massrali. L’ipotesi di un esercito europeo è infatti totalmente campata per aria: il complesso militare industriale europeo che lo dovrebbe sostenere è composto da una serie di multinazionali di bandiera in aperta competizione tra loro, salvo qualche caso in cui vengono costituiti consorzi ad hoc per singoli progetti. Lo stesso neocolonialismo europeo è un coacervo di interessi nazionali spesso divergenti. Già lo scorso ottobre, i socialdemocratici tedeschi hanno lanciato la proposta di un ventottesimo “esercito” europeo da affiancare agli esistenti ventisette. Nella sostanza una forza di reazione rapida finanziata in prima istanza dagli Stati membri. Questa sembra essere l’ipotesi concreta su cui i vertici Ue stanno puntando oggi come del resto ha chiarito la stessa portavoce Massrali e come ha riferito Ursula Von Der Leyden nel suo recente intervento a Strasburgo. Non un “esercito” quindi ma un corpo di spedizione di 6000 effettivi, dotato di assetti aero-navali-spaziali e di “cyber intelligence”, con un comando unico a Bruxelles. Non è ancora chiaro quanto costerà, chi lo finanzierà e soprattutto quale sarà il processo decisionale per attivarlo considerate le divergenze di interessi nazionali sempre in campo. Una sorta di compagnia di ventura a geometria variabile che andrà alla guerra con chi ci sta (compresi eventuali partner extra Ue…). Tuttavia da Von der Leyden, passando per il presidente della repubblica Mattarella ed il ministro della Difesa Guerini, ciò che è stato ribadito è che la costruzione di una cosiddetta “autonomia strategica” della UE sarà comunque interna alla Nato. Tirando le somme degli ultimi avvenimenti asiatici nel quadrante europeo, pare non ci siano cambi di rotta all’orizzonte: la Ue procede e rilancia il suo riarmo spinto con una pioggia di miliardi per le industrie belliche nazionali in grado di accaparrarseli, mette in cantiere un propria forza di reazione rapida già traballante nelle premesse, tenterà una condivisione di informazioni a livello di servizi segreti. Sempre all’ombra della Nato e della nuova guerra fredda contro Cina e Russia ma con l’ambizione di contare ancora di più nella corsa agli armamenti globale e nella belligeranza permanente che questa produce. La Sinistra Europea, purtroppo in minoranza, rimane al momento l’unica forza politica rappresentata nel parlamento europeo a chiedere con chiarezza l’uscita dalla Nato, la drastica riduzione delle spese militari e una politica di distensione verso la Russia. In Italia invece il parlamento è tutto sull’attenti, dai sedicenti sovranisti ai liberisti. Il nostro Paese, secondo solo agli Stati Uniti come presenza “sul campo” in ambito Nato e nono nella top ten mondiale dei produttori d’armi, sgomita per fare sempre il suo “dovere”: l’Italia garantirà il comando della missione Nato in Iraq, consentendo agli “amici” statunitensi di sganciarsi e lanciarsi nei nuovi e lucrosi scenari di guerra prospettati nell’”Agenda 2030” del Patto atlantico. Ma l’Italia non ha bisogno della Nato e dei suoi nemici inventati, delle basi e delle bombe nucleari statunitensi, né di un esercito professionale da spedire in giro per il mondo mentre servono risorse per la sanità pubblica, per la scuola, per i trasporti, per il reddito. Di fronte alla gravissima situazione in cui ci troviamo (caos climatico compreso) la lotta per la riduzione delle spese militari non può più bastare: l’attuale modello di Difesa dev’essere messo in discussione, fuori dalla Nato e da qualsiasi ipotesi di “esercito” europeo.   * Responsabile Dipartimento Pace * Responsabile Area Esteri e Pace PRC-SE