di Gregorio Piccin *
Under the radar – uno studio sull’inquinamento militare.
L’Europa tiene l’acceleratore schiacciato sulla via del riarmo. Lo ha confermato il vertice europeo straordinario tenutosi i giorni 25 e 26 febbraio dedicando un’intera giornata alla questione Difesa e Sicurezza e raccogliendo “a distanza” il punto di vista statunitense con i bombardamenti sulla Siria in funzione anti iraniana. Lo confermano gli stessi budget per la Difesa dei singoli stati membri in decisa e disinvolta crescita nonostante una pesantissima crisi socio-sanitaria e ambientale in corso.
Supportata da una narrazione ufficiale “su misura” che ci vedrebbe minacciati da Russia e Cina l’industria bellica europea ha fatto incetta di commesse miliardarie, ha fornito e continua a fornire le basi tecniche per devastanti operazioni di guerra portate avanti da governi oscurantisti e che violano apertamente i diritti umani, è stata graziata da qualsiasi ipotesi di lockdown per garantire la salute dei lavoratori.
Non solo, in buona compagnia con le forze armate, è completamente sollevata da qualsiasi obbligo ed impegno rispetto alla questione delle emissioni clima alteranti e della lotta al cambiamento climatico. E questo nonostante il complesso militare industriale occidentale (Usa+Ue) sia uno dei principali responsabili, tra le altre cose, proprio delle emissioni clima alteranti.
Solo le forze armate degli Stati Uniti bruciano più idrocarburi della maggior parte degli stati di medie dimensioni. Se il Pentagono fosse un Paese e a ben vedere con 2.825.000 soldati, 800 basi e oltre 200.000 soldati in giro per il mondo lo potrebbe essere, il suo solo consumo di carburante lo posizionerebbe al 47esimo posto tra i produttori di gas serra al mondo, tra il Perù e il Portogallo.
Valutazioni analoghe si possono fare, su scala decisamente più bassa ma con una incidenza comunque importante, per il frammentato ma florido complesso militare industriale europeo.
Uno studio commissionato dal gruppo parlamentare della Sinistra Europea ha stabilito che tutto il comparto, quindi forze armate ed industria di riferimento, hanno una impronta di carbonio equivalente a quella di 15 milioni di auto in un anno.
Gli esperti che hanno redatto Under the radar: the carbon footprint of Europe’s military sectors, (questo il titolo del dossier) hanno mantenuto le loro stime al ribasso rispetto a quello che potrebbe essere il reale stato di fatto e questo perché le forze armate e l’industria militare sono sollevati dal rendere pubblici i loro livelli di emissioni.
Nell’affrontare il problema della scarsa reperibilità di dati diretti, i redattori dello studio hanno quindi dovuto incrociare i dati disponibili e calcolare i livelli di emissioni utilizzando tutti i possibili centri di consumo di carburanti ed energia. E’ questo forse uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro perché fotografa il livello esorbitante della spesa militare europea (Italia al terzo posto dopo Francia e Germania) e dell’entità del business generato per l’industria di riferimento la quale, come accade per le multinazionali farmaceutiche, prima viene sovvenzionata profumatamente dagli stati per la ricerca e sviluppo e poi garantita nei fatturati con le commesse miliardarie alla fine del processo.
Altro punto di forza di Under the Radar è quello di offrire uno spunto di convergenza, sempre più necessaria, tra ambientalismo e pacifismo.
Avendo ben chiaro tuttavia che la battaglia non è rendere “green” la criminale attività della Nato e del neocolonialismo europeo che (con doppi e tripli giochi) giustifica il suo livello di riarmo da una parte allineandosi alla guerra fredda 2.0 verso Cina e Russia, dall’altra infarcendo tutte le analisi di scenario con rifermenti alla instabilità e conflittualità diffusa che minaccia gli interessi nazionali.
Ma se ci guardiamo bene allo specchio vediamo che questa instabilità e conflittualità diffusa, questa “guerra mondiale a pezzi” è nella maggior parte dei casi il risultato diretto o indiretto dello spregiudicato e aggressivo interventismo euro atlantico.
A ben vedere anche la corsa agli armamenti (compresi quelli nucleari e la militarizzazione dello spazio) è trainata dal complesso militare industriale occidentale. Basta un dato per rendersene chiaramente conto: secondo il Sipri di Stoccolma il mercato mondiale di armi e sistemi d’arma nel 2019 (quindi l’ammontare delle vendite delle industrie belliche) è stato di 361 miliardi di euro. Questo mercato è controllato da multinazionali occidentali per l’80,4% con 290,4 miliardi di dollari, mentre Russia e Cina si contendono il rimanente 19,6% con 70,6 miliardi di dollari. Per quanto Russia e Cina siano due superpotenze e quindi non certo delle pecorelle appare sufficientemente grottesco puntare il dito sostenendo che sono, loro, una minaccia alla nostra sicurezza. E forse non è un caso ma una evidente questione di interesse nel business che questi due Paesi in diversi sedi internazionali propongono una distensione generalizzata sia per le armi nucleari che per la militarizzazione dello spazio.
“Sappiamo che gli armamenti sono controproducenti a relazioni internazionali pacifiche e sostenibili. La nostra speranza è che questo studio porti ad un dibattito pubblico
su come affrontare le minacce alla sicurezza umana globale come il cambiamento climatico, e anche far luce sul ruolo che l’industria della tecnologia militare e le forze armate giocano in questo senso” – così si conclude la premessa degli europarlamentari che hanno commissionato il dossier Under the radar. Questa dovrebbe essere la consegna per tutte le formazioni che compongono la Sinistra Europea: mettere sotto la lente d’ingrandimento la propria industria militare ed i suoi legami con i governi, le forze armate e la belligeranza permanente per ricomporre il mosaico in una proposta continentale di conversione, disarmo, pace e cooperazione.
*responsabile Dipartimento Pace Prc-Se
In allegato, in formato pdf, Under the radar, the carbon footprint of Europe’s military sectors, un approfondito studio sul peso ambientale dell’industria militare europea commissionato da GUE/NGL, SGR e Conflict and Environment Observatory.
Forze armate green?