PREMESSA Mentre il presidente colombiano Juan Manuel Santos ordina di chiudere la frontiera con il Venezuela e muove 3.000 militari nell’area, e mentre il capo del comando Sud degli Stati uniti, Kurt Tidd, rende nota la presenza di forze militari del suo paese nella regione del Tumaco, in Colombia per incontri con l’esercito colombiano volti a “contrastare le minacce alla sicurezza”, in questo scenario insomma da guerra per procura, è opportuno leggere l’articolo del giornalista venezuelano Eleazar Díaz Rangel.
(traduzione di Marinella Correggia)
Eleazar Díaz Rangel | L’aggressione al Venezuela. E’ imminente l’invasione militare dalla Colombia?
Mai prima d’ora il pericolo di un’aggressione militare al Venezuela è stato così vicino; una possibilità reale della politica attuale di Washington, anche se ricordiamo altre epoche di tensioni, avvertimenti e sanzioni contro l’economia del paese, a partire dal maggio 2001 quando, poco dopo l’arrivo di Hugo Chávez al governo, un funzionario dell’intelligence militare scoprì il Plan Balboa - in Spagna, prove di invasione militare da parte di Stati uniti e Nato -, fino al presidente Barack Obama che nel 2015 considerava il nostro paese “una minaccia inusuale e straordinaria” per la sicurezza degli Stati uniti e la loro politica estera.
Perché questa mia conclusione? Prima di tutto, per la presenza di Trump alla guida degli Usa, con l’appoggio dei settori più reazionari e imprevedibili della politica di quel paese, capaci di creare crisi importanti simultaneamente in Venezuela e nella penisola coreana. E non è solo la presenza di Trump, ma le sue parole, le sue minacce concrete.
Queste condizioni, ovviamente, in sé non sarebbero sufficienti a confermare la gravità della situazione. Ma nella regione si sono verificati cambiamenti importanti. Non possiamo più contare su Lula o Dilma in Brasile, né sui Kirchner in Argentina, e in Ecuador non c’è più Correa. Sono assenze non da poco per lo sviluppo dei piani di Washington nei confronti del Venezuela. Aggiungiamo la creazione del gruppo di Lima come strumento che segue fedelmente le linee tracciate dagli Stati uniti nella loro ossessione contro il nostro paese.
E, come se non bastasse, la politica dell’Unione europea segue pedissequamente come non mai le azioni e decisioni di Washington nei confronti del Venezuela. E certamente vari paesi della regione obbediranno all’ordine recente di non riconoscere i risultati delle elezioni che si terranno il 22 aprile. Non è da scartare l’ipotesi che, a certe condizioni, si approfitti della nuova correlazione di forze in seno all’Organizzazione degli Stati americani per sancire la rottura delle relazioni con il Venezuela, come fecero a suo tempo con Cuba.
Sul piano militare, il comando Sud continua a essere un fattore fondamentale in ogni azione, insieme al riordinamento delle sete basi miliari in Colombia, controllate dagli Stati uniti; e in particolare quella di Palanquero. Aggiungiamo la recente decisione del governo di Panamá di autorizzare a partire da luglio l’arrivo di 415 militari dell’aviazione Usa!
Davanti a un panorama così guerrafondaio, è da immaginare che i falchi che guidano la politica estera di Washington siano arrivati alla conclusione che il momento propizio è arrivato; ma poi di certo sono subentrati i dubbi. Per esempio, quale sarebbe la reazione dei popoli latinoamericani, e anche altrove nel mondo? Fin dove si potrebbe spingere l’impegno della Cina sancito nell’accordo di “sicurezza e difesa” firmato di recente con il Venezuela? E la Russia? E i cubani, cosa farebbero? E i paesi dell’Alba, che da un mese sono riuniti in permanenza? Sulla base di queste domande, chi può garantire il successo di un’invasione militare?
L’unione civico-militare per la prima volta si è espressa anche in esercitazioni congiunte, e il popolo in precedenza non aveva la capacità di organizzazione e la coscienza nazionale alla quale è giunto. Gli Usa considereranno una fanfaronata l’avvertimento di Diosdado Cabello: si sa in quali condizioni arriveranno i soldati di Washington ma non si sa in quali condizioni se ne andranno?
In questo contesto, il comportamento del presidente Usa è così ossessivo che, anche qualora l’invasione militare fosse scartata, l’aggressione continuerebbe, con il rafforzamento delle misure economiche e finanziarie che già si stanno applicando, con l’aggiunta dell’embargo sul petrolio; il tutto con il sostegno dei media, come Ap, Reuters, Afp, Efe, e dei telegiornali di mezzo mondo, il solito circo mediatico nel quale dominano le menzogne e le notizie prive di fondamento, insieme all’occultamento della verità.
Qualunque politica Trump applicherà rispetto al Venezuela, abbiamo a disposizione un’unica risposta: resistere, affrontare le minacce nella maniera più organizzata possibile e consapevoli che, dall’interno, una minoranza appoggerà l’aggressione e alzerà il telefono per ricevere l’ordine di non andare a votare e di disconoscere il risultato del voto.
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