Stefano Galieni
Giornata assurda, da qualsiasi punto di vista la si voglia vedere, quella di oggi nella capitale. Da giorni era nota la visita di Erdogan, uno dei peggiori esempi dell'anima dittatoriale e guerrafondaia della NATO. L'uomo che da anni bombarda la minoranza curda, che imprigiona le opposizioni, che utilizza l'arma di ricatto dei rifugiati siriani per ottenere soldi e armi dall'UE si sente oramai onnipotente. Impone la sua legge ovunque: il suo esercito attacca nel silenzio sordido e complice della Comunità Internazionale, le città a nord della Siria. E in quella Afrin divenuta per i curdi simbolo di resistenza e di lotta all'ISIS potrebbero presto tornare a spadroneggiare altri jhaedisti, le forse di Al Nusra, con l'aiuto del regime turco. Le altre potenze interessate nell'area tacciono e a rimetterci sono come sempre i partigiani (soprattutto le donne) e i civili,ma tanto per la Siria le speranze di pace sembrano spezzate. E oggi, a dimostrazione di come l'importanza delle relazioni diplomatiche possa lavare il sangue di tanti innocenti, Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato in Vaticano Papa Francesco da cui ha ricevuto in dono la statua di un angelo contro la guerra. Avrà riso il leader turco e intanto da S.Pietro nessuna parola di dolore si è levata non solo per i curdi, per gli yazidi, per gli armeni, per le tante minoranze oppresse, per una democrazia distrutta, per il dolore delle donne, per l'incessante azione militare in Siria. i due "capi di Stato" si incontravano per discutere della situazione di Gerusalemme contesa. Contesa fra popoli o fra criminali coloniali? Poi il califfo di Istanbul ha incontrato il presidente dell consiglio uscente Gentiloni e il presidente della Repubblica Mattarella. Con loro si è parlato di migranti e di affari, di come fermare i rifugiati e al contempo favorire nuovi investimenti e anche qui silenzio pilatesco su quel carcere a cielo aperto che è oggi la Turchia. Ma questo nelle stanze dove i rumori non giungevano. Intanto l'ordine militare che tanto piace al despota turco si faceva sentire anche a Roma. 3700 agenti mobilitati per garantirne la sicurezza, dalla polizia a cavallo ai sommozzatori, il tutto per contrastare poche centinaia di compagni/e della comunità curda, della Rete Kurdistan e di solidali. Al tentativo di proporre un piccolo corteo partivano le prime manganellate, forti e cattive. Un ferito alla testa e un compagno curdo fermato (rilasciato poi alle 16 forse con accuse) poi la tensione sembrava calare. Nel frattempo dal palco si alternavano interventi da Afrin, da attivisti di ogni dove, che provavano ad entrare nelle stanze ovattate e a rompere l'ipocrisia diplomatica senza scalfirne la lontananza. Alle 13.30 sembrava che il presidio, previsto fino alle 14 si dovesse/potesse sciogliere senza problemi. Un'ora dopo arrivava la notizia assurda, inconcepibile. Per il centinaio di militanti che erano restati due sole possibilità: uscire dopo identificazione (per manifestazione autorizzata?) o restare bloccati fra i militari. Alle 15.30 riuscivo a rientrare nella piazza rivendicando il mio ruolo ma li restavamo bloccati fino alle 17-30 passati in totale sequestro. Intanto altre strade centrali della città come Via del Corso, venivano chiuse al traffico per permettere al corteo presidenziale di fare il proprio percorso. Un centro città bloccato e un centinaio di persone illegittimamente trattenute da un numero spropositato di militari di ogni forza possibile (il rapporto era almeno di 4 a 1). Rappresentavano un pericolo? Turbavano l'ordine pubblico? Avrebbero potuto commettere reati? Difficile pensarlo, eravamo pochi e insufficienti rispetto alla risposta che Roma avrebbe dovuto e potuto dare, ma lo stato d'eccezione è divenuto la norma e c'è da temere seriamente che questa sarà la piazza nei prossimi anni secondo i dixit di Minniti. Dipenderà da noi e dalle nostre coscienze non permetterlo.