di Gregorio Piccin
Pane, latte e pasta sono considerati beni primari a tal punto importanti che lo Stato ne supporta il consumo attraverso un ribasso dell’Iva al 4%.
Così avviene anche per altri beni di consumo e servizi come farmaci, trasporti, forniture energetiche e idriche su cui il ribasso è fissato al 10%.
A partire dal 2017 entra nel paniere dei beni incentivati una nuova tipologia merceologica: armamenti e tecnologie militari in generale.
Il nostro governo, in accordo con i partner europei, ha infatti stabilito di azzerare completamente l’Iva per tutti i sistemi d’arma acquistati dai Paesi europei aderenti alla PESCO nell’ambito di programmi di cooperazione industriale-militare gestiti dall’Agenzia europea per la difesa (Eda).
Dal punto di vista delle capacità militari-industriali l’Italia è il terzo tra i quattro Paesi che hanno costituito il nucleo promotore della PESCO (Francia, Germania, Italia, Spagna) e la proposta dell’esenzione iva è tutta italiana, per la precisione un successo che la ministra della difesa Roberta Pinotti ascrive a se stessa.
“…L’esenzione dall’imposta del valore aggiunto – che potrà essere utilizzata da subito, per qualsiasi tipo di progetto dell’Eda – crea un interesse commerciale per tutti i programmi di cooperazione nella difesa…” ha dichiarato lo scorso ottobre Jorge Domecq, direttore generale dell’Eda.
Considerato che Leonardo-Finmeccanica è tra i primi produttori mondiali di armamenti la quota di gettito Iva a cui l’Italia rinuncerà nei suoi commerci europei costituirà l’ennesimo costo “nascosto” che i cittadini italiani pagheranno per sostenere il profittevole traffico d’armi. Infatti il saldo tra Iva non versata dai Paesi acquirenti tecnologia italiana e quella non versata dall’Italia per l’acquisto di tecnologie straniere sarà prevedibilmente negativo.
La PESCO, come già accennato nella prima e seconda parte di questo studio, si risolve quindi in una grande operazione di sostegno e rilancio del comparto industriale di riferimento.
Ne sono prova evidente, al di là dell’esenzione Iva, tutta una serie di misure dirette ed indirette volte a sostenere la catena del procurement (ricerca, sviluppo ed acquisizione): 1,5 miliardi di euro annui messi a disposizione dal Fondo europeo per la difesa (Edf) a partire dal 2020; la possibilità di finanziare i progetti attraverso la Banca europea per gli investimenti (Bei) e, non ultime, le indicazioni vincolanti per i Paesi aderenti contenute nel protocollo PESCO come l’aumento delle spese militari, l’aumento delle quote di budget da dedicare alla ricerca e sviluppo, lo snellimento decisionale in ambito militare.
Tutto questo pacchetto di regalie finanziarie e politiche alle industrie d’armi europee e nostrane restituisce un po’ di senso commerciale anche alla Guerra fredda 2.0 voluta dagli Stati Uniti e rivendicata dalle new entries Nato/Ue dell’est.
Lo spostamento della cortina di ferro dal Friuli e dalla Germania a ridosso dei confini russi, oltre a colpire duramente l’economia reale di Paesi come il nostro, ha infatti già prodotto un importante aumento delle spese militari in Paesi come Polonia, Romania Estonia, che hanno centrato il parametro Nato del 2% sul Pil mentre Lettonia e Lituania lo raggiungeranno entro il 2018. E anche se questi Paesi si considerano più vicini agli Stati Uniti che all’Unione europea è pur vero che la PESCO rende oggi decisamente più vantaggiosa e concorrenziale la mercanzia convenzionale made in Europe.
Certo mancano nei cataloghi del vecchio continente sistemi d’arma avanzati come i missili anti missile paragonabili al THAAD statunitense o all’S-400 russo o caccia bombardieri di quinta generazione (come l'F35 o il SU-57 russo). Per ciò che riguarda questi ultimi sembra essersi costituito un asse franco-tedesco per produrne uno europeo ma la cosa appare una “sparata” alquanto velleitaria considerati i costi/tempi molto dilatati per lo sviluppo e la situazione del mercato mondiale già conteso da statunitensi, russi e cinesi.
Molto più abbordabile, se possiamo azzardare una previsione, sarà lo sviluppo di sistemi missilistici anti missile che potrebbero diventare il terreno (comunque costoso) di un progetto condiviso nel quadro PESCO.
Al di là dello story telling di circostanza e la retorica europeista che ha accompagnato il lancio della Cooperazione strutturata permanente e che la immagina come il contesto per promuovere consorzi e collaborazioni industriali la realtà sembra essere, piuttosto, una “Concorrenza spietata e permanente”.
I più preoccupati sembrano essere proprio gli industriali nostrani che chiedono un’aumento sostanziale delle spese militari per fronteggiare adeguatamente i competitor europei. Nell’ambito di una recente audizione alla commissione Difesa della camera il presidente dell’Aiad (Associazione delle imprese italiane dell’aerospazio, difesa e sicurezza) Guido Crosetto ha infatti dichiarato che “…una razionalizzazione dell’industria europea, significa sostanzialmente ridurre il numero di prodotti e conseguentemente di produttori, e, se non governata in modo forte da un sistema Paese determinato, rischia di fare della nostra industria di settore il vaso di coccio (…) Pensare a un unico investitore europeo in questo settore significa non solo avere pronte le aziende ad una competizione molto più forte, ma significa avere pronto l’intero sistema Paese, i funzionari, la burocrazia, il sistema finanziario (…) Sostenere questo cambio significa anche adeguare il bilancio italiano alle percentuali di Pil investito dai nostri “competitor” industriali, per non lasciargli vantaggi irrecuperabili…”. In questo contesto, prosegue Crosetto, la difesa “…rischia di parlare, visti gli attuali rapporti di forza e visti gli accordi già intercorsi tra Macron e la Merkel, più che altro francese o tedesco…”.
Che i “grandi” industriali nostrani siano una categoria questuante abituata a vivere di tutele e incentivi statali è un fatto conclamato, che la specifica categoria degli industriali degli armamenti lo sia ancora di più è un altro fatto ma l’analisi di Crosetto è piuttosto centrata.
Lo testimonia l’attuale trattativa sulla cantieristica navale tra la francese Stx e l’italiana Fincantieri. Ma mentre dietro ad Stx c’è Thales (colosso francese dell’elettronica militare/aerospaziale) dietro a Fincantieri non c’è, attualmente, Leonardo-Finmeccanica. E questo può rappresentare un problema perché metà del valore di una nave militare è costituita dallo scafo ma l’altra metà dall’elettronica e dai sistemi d’arma imbarcati.
Stando così le cose e considerato l’inossidabile, blindato amore trasversale della “grande” politica per la belligeranza e per l’industria che la richiede, il grido di “allarme” di Crosetto non cadrà nel vuoto…
Anche perché su questa partita gli industriali hanno già recentemente incassato il placet della Fiom, la quale ha giudicato meritorio l’operato dell’ex amministratore delegato di Finmeccanica Moretti (vendita degli asset trasporti ed energia per puntare tutto sull’hi-tech militare) proponendo addirittura una ricapitalizzazione della nuova one company con la Cassa Depositi e Prestiti.
La PESCO non sarà quindi un’occasione per una generale riduzione delle spese militari e per una revisione epocale della politica estera e militare continentale; sarà semmai l’ennesima grassa occasione per l’industria bellica di socializzare i costi della ricerca e dello sviluppo ed incassare stratosferici profitti.