Teresa Isenburg
Da due mesi circa il Brasile è in fiamme e destino analogo colpisce paesi vicini, in particolare Bolivia e Perù. Fattori multipli concorrono a creare questa pessima situazione: temperature elevate in epoca impropria (ma relazionabile al generale aumento della temperatura), scarsità di piogge e conseguente aridità dei suoli e basso livello dei corpi idrici, il tutto collegato all’influenza del Niño (riscaldamento delle acque di superficie dell’Oceano Pacifico equatoriale) fra giugno 2023 e giugno 2024[1], a cui si sommano azioni volontarie di piromani, conseguenze dell’indebolimento di parecchi settori della pubblica amministrazione avvenuto fra 2016 e 2022 e ripristinati negli ultimi due anni solo in parte, e soprattutto il tipo di sistema fondiario e di agricoltura di mercato che domina vaste aree della Federazione e che poco o nulla si cura di tutela ambientale (nella quale rientra il controllo dei fuochi nelle proprietà). In Brasile come nel resto del mondo – si pensi a quanto avviene in Australia o in Siberia, Canada e Alaska, con minore estensione nell’Europa mediterranea - la questione dei grandi incendi di foreste e aree agricole riguarda in primo luogo i paesi direttamente coinvolti, ma ricade anche sull’insieme del globo dal momento che la brusca liberazione di CO2 confinata nella vegetazione altera ulteriormente la composizione chimica complessiva dell’atmosfera e rafforza l’effetto serra. In Brasile i dati sui focolai di incendio sono monitorati in modo continuativo dell’INPE (Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais (https://www.gov.br/inpe). Così sappiamo che essi nei primi 10 giorni di settembre sono raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2023 e che il bioma più colpito è stato il cerrado (la savana) e in esso la regione Matopiba (frontiera agricola accelerata al punto di incontro degli stati di Maranhão, Tocantins, Piauí, Bahia); mentre la devastazione qualitativamente più grave (cioè di difficile recupero) concerne la zona umida del Pantanal convertita negli ultimi lustri a soia e altre commodity. Inoltre lo Stato di San Paolo nel suo insieme è avvolto dalle fiamme. Sovrapponendo questa grossolana mappatura con gli spazi forti dell’agribusiness (parte del cerrado e Stato di San Paolo) e con quelli da maggiore trasformazione della copertura del suolo da vegetazione nativa a vegetazione e/o allevamento di mercato, emerge senza possibilità di dubbio una coincidenza. Cioè il fuoco galoppa laddove maggiore è l’antropizzazione, divorando superfici coltivate e investendo aree protette e terre indigene. Il fumo locale denso e tossico raggiunge poi rapidamente le grandi città per cui a San Paolo, Belo Horizonte, nella capitale federale Brasilia semplicemente non si respira e per la secchezza le mucose si irritano e si infiammano. Quindi in parallelo al disastro ambientale si produce una ricaduta negativa grave sulla salute collettiva. Ed è su questo ultimo punto, la salute (e quindi la necessità urgente e irrimandabile di sistemi forti di salute pubblica in ogni paese, possibilmente collegati fra di loro: una internazionale della salute) che desidero soffermarmi, sempre tenendo presente che si sta parlando di un caso specifico che si ripete in modo simile altrove, anche se a scale diverse (il che non è indifferente). Lo faccio utilizzando testi e interviste del medico pneumologo della USP (Universidade de São Paulo) Ubiratan de Paula Silva[2], responsabile dell’Ambulatorio di Tabagismo e Malattie respiratorie occupazionali e ambientali dell’Incor (Istituto del Cuore della Facoltà di Medicina della USP). In allegato riporto la traduzione di un articolo soprattutto medico (https://www.viomundo.com.br/politica/ubiratan-de-paula-santos), mentre indico e in seguito sommariamente riprendo un’intervista allo stesso medico del 10 settembre sul sito Tutameia dei giornalisti Rodolfo e Eleonora Lucena. Consultabile su youtube[3]. L’interesse di questa intervista è che pone al centro della riflessione su quella che è stata chiamata “una epidemia di incendi” la questione del latifondo, cioè della mancata riforma agraria nella storia del Brasile (aspetto che accomuna Brasile e Italia), lasciando quindi nelle mani degli agrari il controllo di vasti spazi, oltre ad avere impedito l’inclusione nel contesto della società civile di una porzione molto consistente della popolazione. Oggi il dominio degli agrari su infinite plaghe (molte accaparrate in modo illecito) ha anche conseguenze ambientali che al momento si manifestano nella totale irresponsabilità di chi detiene la proprietà nel controllare i fuochi di incendio nei propri territori. Questo è particolarmente evidente nello Stato di San Paolo, dove le fiamme hanno investito piantagioni di canna e colpito coltivazioni di caffè. Interessante che la irresponsabilità nella prevenzione si associa ad una aggressiva richiesta di aiuto pubblico a danni avvenuti lamentando alte perdite. Perdite che non tengono conto dell’aumento del valore delle azioni. Ad esempio delle grandi imprese saccarifere, nonostante le devastazioni della combustione. Che fare di fronte a una situazione tanto grave e di fronte alla probabilità (prossima alla certezza) che rotture catastrofiche si ripetano nel tempo a venire? È evidente che delegare tutto all’intervento pubblico e pensare che ogni cosa si risolva col denaro è una pura fantasia o un autoinganno. E’ necessaria una partecipazione attiva costante e vigile della popolazione nel suo insieme, dei gruppi territoriali, dei cittadini e delle cittadine esperti dei quadri ambientali per mobilitarsi nei momenti di crisi e per monitorare senza interruzione l’agire (o il non agire) di chi dei luoghi detiene il dominio, imponendo il rispetto delle regole vigenti o di ulteriori norme che realtà in evoluzione richiedano. La ricaduta negativa della lunga stagione costruita ad arte dell’antipolitica manifesta nella attuale generalizzata crisi ambientale tutto il suo peso negativo, in quanto mancano soggetti sociali e politici organizzati in grado di dare corpo a questo necessario passaggio. E non saranno le ONG a rispondere a questa esigenza, perché esse in prevalenza derivano da un modello non partecipativo, ma calato dall’alto e poco propenso all’ascolto e inoltre sono esasperate dall’esigenza di acquisire risorse per il proprio funzionamento. Molte azioni di chi vive sul territorio possono essere indicate, ad esempio per prevenire collassi ambientali: il già ricordato controllo ininterrotto del manifestarsi di focolai (ma questo comporta una “intromissione” nell’inviolabile spazio della proprietà privata), la moltiplicazioni di spazi verdi anche di dimensioni contenute nelle città (ma questo impone di non edificare ovunque ci sia un vuoto, cioè porre un argine al moltiplicarsi della rendita urbana), guardare da vicino la manutenzione delle infrastrutture ad esempio idrauliche (se questo fosse avvenuto per le idrovore foranee, l’enorme sommersione della città di Porto Alegre e di buona parte dello Stato di Rio Grande do Sul di maggio 2024 non sarebbe avvenuta). Molte cose dunque sono possibili e immediate, ma implicano una partecipazione attiva di chi abita i luoghi per prendere in mano il proprio destino e l’imposizione di una cessione di parte del proprio potere a chi troppo ne abusa (proprietari di terre rurali e urbane, amministratori incuranti del bene comune e ossessionati dal disporre di sempre maggiori risorse, cittadini passivi e disinteressati a pensare con coraggio e fiducia il proprio presente e futuro, neppure in presenza di una molto possibile guerra). Quel che avviene in Brasile oggi non è diverso da quello che avviene altrove, e quindi urge imparare dalle reciproche esperienze. * * * * IL MOMENTO RICHIEDE DECISIONI RAPIDE, DRASTICHE, EFFICIENTI E DI LUNGA DURATA. SONO NECESSARIE, POSSIBILI E A PORTATA DI MANO Da decenni scienziati di tutto il mondo, molti dei quali tra i più competenti nel nostro Paese, mettono in guardia sui cambiamenti climatici causati dall’attività umana. Attività che emettono sostanze inquinanti che danneggiano la salute umana e riscaldano la superficie della terra, attività che eliminano vegetazione e foreste, contaminando e seccando fiumi superficiali e aerei (come quelli dell’Amazzonia), compromettendo tutti i nostri biomi, in una combinazione che favorisce il verificarsi di eventi meteorologici estremi che nuocciono alla salute umana: siccità e inondazioni, clima freddo e soprattutto molto caldo. In questi giorni, l’eminente scienziato Carlos Nobre, uno dei più competenti studiosi e conoscitori dell’argomento e dell’Amazzonia, ha lanciato in un’intervista l’ennesimo avvertimento, dicendosi terrorizzato: nessuno aveva pensato che saremmo arrivati a una condizione così spaventosa in tempi tanto rapidi come quelli che stiamo vivendo. Lo scienziato ha affermato che abbiamo la temperatura più alta sulla Terra da quando esistono le civiltà. Gli incendi sono stati osservati e stanno progredendo in tutto il Paese e con maggiore intensità negli ultimi due mesi, soprattutto nelle regioni Nord- Amazzonia, Centro-Ovest – Cerrado, Pantanal – Caatinga e a San Paolo. Tutto indica che sono provocati dagli interessi dei proprietari e di coloro che vogliono possedere più terre, per gli scopi più diversi, ma tutti finalizzati al facile guadagno a scapito della popolazione del paese, con peggioramento della situazione climatica. Questi incendi rilasciano, tra gli altri, un inquinante chiamato particolato, in questo caso molto piccolo, fine (meno di 2,5 micrometri) e ultrafine (meno di 0,1 micrometri - 1000 volte minore dello spessore di un capello), particole che entrano più facilmente nei polmoni e causano maggiori danni all’organismo. Queste particelle molto piccole sono anche molto leggere e rimangono in sospensione per giorni, settimane, una condizione che si prolunga con aria più secca, come è avvenuto in questo periodo. Il clima secco aiuta a mantenerle in sospensione più a lungo, poiché non assorbono acqua, che le renderebbe più pesanti facendole cadere a terra. Nel caso della città di San Paolo, oltre a ricevere sostanze inquinanti che viaggiano per centinaia e migliaia di chilometri dai fuochi di origine e dagli incendi circostanti, un pennacchio rimane confinato 2-3 km al di sopra della superficie, con poca dispersione, a causa delle scarse correnti di vento registrato al momento. D’altro canto, le particelle che si depositano sul terreno vengono in gran parte risospese in quanto movimentate dai veicoli. Tutti questi fatti hanno mantenuto, in centinaia di città di diversi stati del Paese, concentrazioni molto elevate di tali inquinanti e la previsione è che questa situazione persista, senza miglioramenti significativi, almeno per i prossimi 20 giorni. L’inquinamento atmosferico è stato responsabile di oltre otto milioni di morti nel mondo nel 2020. Le stime suggeriscono che ha superato le morti dovute al tabagismo. Ciò che sta accadendo ora in Brasile sta portando ad un aumento della domanda di assistenza sanitaria di migliaia/milioni. Sarà responsabile di migliaia di ricoveri e decessi, molti osservati in questo periodo e tanti altri nei prossimi mesi, ma decorrenti dall’attuale inalazione di inquinanti. Morti che si verificano a seguito di complicazioni prodotte dai cambiamenti indotti dall’inquinante ora inalato, un effetto subacuto, per così dire. Quando queste particelle entrano nei polmoni attraverso il naso e la bocca, causano danni. Un adulto inala dai 10.000 ai 15.000 litri d’aria al giorno per avere ossigeno, l’ossidante necessario per produrre energia dal cibo che mangiamo, così da poter sopravvivere. In un ambiente con aria inquinata, tutti i tipi di spazzatura, come queste particelle, entrano nei polmoni insieme all’ossigeno. Nei polmoni provocano reazioni chimiche, inducono la formazione di milioni di radicali liberi, consumano le difese antiossidanti esistenti nei polmoni e inducono un’infiammazione continua in tutto il sistema idraulico dei polmoni - bronchi e bronchioli - aumentando il rischio di scompenso o peggioramento in soggetti affetti da enfisema, bronchite cronica, asma, bronchiectasie, fibrosi polmonare. Questo processo riduce anche la capacità di difesa dalle infezioni, ciò che predispone alla polmonite virale e batterica. I neonati e i bambini, con minori difese rispetto agli adulti, corrono un rischio maggiore di sintomi quali tosse, respiro sibilante, russamento, catarro, infezioni respiratorie e otiti. Ma gli effetti non riguardano solo i polmoni. L’infiammazione polmonare stimola le terminazioni nervose intrapolmonari, fibre del sistema nervoso autonomo, provocando cambiamenti nel suo equilibrio, che accrescono il rischio di aritmie e morte improvvisa e aumentano la pressione sanguigna nei vasi e la rottura delle placche di ateroma, incrementando così il rischio di infarto miocardico e ictus. D’altro canto, il processo infiammatorio polmonare rilascia mediatori nel circolo sanguigno, che alterano la viscosità del sangue e inducono la formazione di altri fattori coinvolti nella coagulazione, con maggior pericolo di eventi trombo-embolici, quindi di infarto miocardico e ictus. Sono più colpiti i soggetti affetti anche da diabete, anemia falciforme, talassemia e malattie autoimmuni. Questi fatti e meccanismi sono stati studiati a lungo e, nella maggior parte dei paesi, sono state adottate normative che impongono agli inquinanti limiti sempre più restrittivi, possibili attraverso misure quali l’uso di altri carburanti, motori più efficienti, incentivi per all’uso della bicicletta, servizi pubblici nei trasporti, limitazioni alla circolazione dei veicoli, più aree verdi. E questo stava accadendo, se pure lentamente, in Brasile, ma negli ultimi 10 anni il calo dei livelli di inquinamento si è fermato e ora è in forte aumento nelle grandi città del Brasile. Non sto parlando dell’Amazzonia e del Cerrado, che da tempo non conoscono ristoro. E la gravità del problema, ormai esposto e percepito da tutti, richiede misure urgenti. La situazione è molto più grave in termini di perdite di vite umane, temporanee o permanenti, e di impatto climatico, rispetto a quanto accaduto nel Rio Grande do Sul con le piogge. Tuttavia, per questa emergenza climatica e umana non si sta dedicando un decimo dell’attenzione e delle risorse. Il negazionismo non si applica solo a chi nega l’esistenza dei problemi, ma anche a chi, pur ammettendoli, fa poco per risolverli. È il momento di un appello alla mobilitazione nazionale, dei giovani, delle università, di tutta la rete scolastica, della sanità, della cultura, della popolazione, in una crociata contro gli incendi, per identificare i focolai e le loro origini, per contenere la furia dei piromani e dei loro mandanti. È tempo di riempire Maracanã, Itaquerão e tanti altri stadi nello stesso senso pedagogico e mobilitante del (compositore Heitor) Vila Lobos quando diresse un coro di 40mila voci allo Stadio Vasco da Gama/ São Januário, il 7 settembre 1940 (festa nazionale del Brasile). Ora con altro direttore e altra musica, ma con la stessa preoccupazione. È tempo che il governo federale si pronunci e agisca con vigore, un appello alla mobilitazione, per mettere a disposizione tutte le risorse necessarie (non quelle che Pianificazione e Finanze ritengono possibili, perché da dove meno ti aspetti, non arriva proprio nulla, come diceva il Barone di Itararé). Dopo mesi e 52 indagini del PF, senza alcun risultato pubblico noto, il fuoco continua ad essere alimentato e con esso il sentimento di impunità, di bancarotta dello Stato. In ogni città del Brasile vanno incoraggiate le brigate contro gli incendi e i piromani, ampliando le già nascenti e coraggiose iniziative locali e i pochi eroici che lavorano come vigili del fuoco. Coinvolgimento diretto, massiccio e determinato delle forze di sicurezza per sostenere e garantire tutta la mobilitazione nazionale in difesa della vita e del clima. Non c’è spazio per la conciliazione nell’annunciata creazione dell’Autorità nazionale per il clima. Il clima ha una possiblità solo con la sconfitta della politica degli incendi, dell’accaparramento delle terre e della deforestazione, i cui rappresentanti hanno dei nomi e non dovrebbero essere loro o i loro rappresentanti, nemmeno quelli che mostrano denominazioni che alludono ad aree verdi, ad essere designati a un tale compito. Questa posizione spetta a un difensore radicale della vita e del clima. Un irreconciliabile. E’ meritorio per un governo democratico dare rappresentanza nella sua composizione a settori precedentemente esclusi o raramente presi in considerazione nella formulazione e nell’esecuzione delle politiche pubbliche. Così, la creazione di ministeri, come quello dei popoli indigeni, dell’ambiente, dell’uguaglianza razziale e delle donne, sembrava essere un passo avanti, con coraggio, senza preoccuparsi di coloro che sono sempre critici nei confronti dell’ampliamento della struttura dello Stato. Tuttavia, l’inclusione di queste rappresentanze nei ministeri non ha rappresentato l’inclusione di politiche nella misura in cui il governo diceva di voler dare voce, di condividere il potere decisionale. La nostra ministra dell’ambiente, che sembra reduce di guerra, ha bisogno di ispirarsi al suo compianto cugino, originario di Santos, Lamir Vaz de Lima (tenace militante per la trasformazione sociale) e tirare fuori il coltello. La Ministra dei Popoli Indigeni deve posare il suo pesante cocar (di piume) e uscire con i suoi popoli in danza di guerra. Anche il Ministero della Salute deve trattare come suo il problema nella dimensione specifica, con linee guida, bollettini quotidiani e misure per la migliore raccolta di informazioni e azioni in tempo reale. E il presidente deve COMANDARE. Ubiratan De Paula Santos, medico San Paolo, 15/09/2024 Traduzione con Google, rivista. [1] Instituto Nacional de Meteorologia, El Niño 2024: boletim n.8 de julho, 12/6/2024; https://portal.inmet.gov.br [2] Ambulatorio de Cessação de Tabagismo e de doenças Respiratorias Ocupacionais e Ambientais della Divisione di pneumologia dell’Incor (Instituto do coração) da USP. Inoltre fra gli anni ’90 e il primo decennio del XXI secolo Ubiratan de Paula Santos ha ricoperto incarichi politici di direzione nei municipi di San Paolo e Santos. Fa quindi parte di quella tradizione di medici inseriti profondamente nella società e nella politica di cui - per l’America del Sud - si possono ricordare i nomi noti di Salvador Allende e di Josué de Castro o in Italia il movimento di medicina del lavoro di cui Giovanni Berlinguer e Giulio Maccacaro sono stati importanti costruttori. [3] Tutameia è un interessante sito che raccoglie un lungo elenco di ampie interviste che offrono una informazione approfondita con protagonisti non banali.