Pubblichiamo questa testimonianza, in vista della mobilitazione nazionale il 4 giugno 2022 a Roma (Piazza la Repubblica alle ore 16:00) contro la guerra e l’invasione turca in Kurdistan.
di Mariella Valenti
Mi chiamo Ferzinde Abi, sono nato nel Kurdistan turco, a Sirnak il 18 aprile del 1955, da una famiglia che ha fatto sempre attività politica per il riconoscimento dei diritti umani del popolo curdo, per l'autodeterminazione del Kurdistan, iracheno, iraniano, siriano e turco, per la realizzazione del confederalismo democratico di tutti noi, 45 milioni di persone senza il proprio Stato.
Nel 1977, a 20 anni, sono diventato un'attivista dei Diritti Umani, donne e uomini, per la nostra libertà di vivere in un Paese democratico, unito, senza disuguaglianze dovute al genere ed alla religione.
Si deve tenere conto che lavorare e lottare per il riconoscimento dei Diritti Umani è molto pericoloso in Turchia, si rischia la carcerazione dura e spesso la morte, bisogna farlo in semi-clandestinità.
Ho svolto attività politica dal 1977 al 1996 e durante questi anni sono stato arrestato molte volte dalla polizia turca che veniva nella mia casa, picchiandomi con i bastoni, portandomi via e riportandomi dopo vari mesi di detenzione “amministrativa”, cioè senza processi o colpe alcune.
Nella nostra casa, mia e di mia moglie Sirin ( in italiano il suo significato è “dolce”), vivevamo con i nostri 8 figli, fra i quali, Evin, la mia bambina più piccola di quindici anni anche lei attivista per i nostri diritti, uccisa dai militari del regime turco, per rappresaglia e pura ferocia. L'altra figlia Viyan, appena diciassettenne, dopo la morte di Evin, ha iniziato la battaglia contro il regime ed ha combattuto, insieme alle donne del Ypg in Rojava per liberarci da Isis/Daesh, non solo noi curdi, ma anche per le libertà del mondo intero.
I cinque figli rimasti, uno è sposato ed abita in Russia, gli altri sono ancora nel Kurdistan turco (Bakur), hanno terminato gli studi universitari, ma, per “colpa” del nostro impegno politico e con l'accusa che Viyan possa far parte del PKK, sono emarginati e viene impedito loro di trovarsi un lavoro.
Nel 1996 sono stato arrestato nuovamente e condannato a 15 anni di carcere duro, ho subito la tortura nei primi sette mesi di carcerazione, dove ho riportato la perdita dell'uso del braccio destro e la mano destra, subendo anche traumi testicolari pesanti con lesioni permanenti: tutta questa ferocia per estorcermi nomi dei compagni di lotta ma anche per pura cattiveria e disumanità.
Anche mia moglie Sirin ha subito la carcerazione per 1 anno e nei primi 25 giorni è stata torturata davanti ai miei occhi, subendo la perdita di una parte dei capelli strappati a forza dal cuoio capelluto e mai più rinati.
Sono stato scarcerato nel 2011 perché mi hanno trovato un tumore all'inguine e, da allora, vivo con questa terribile malattia.
Dal 2011 al 2013, insieme ad altre compagne e compagni curdi, ho creato “l'Associazione famiglie dei martiri curdi” ( Komela malbate Sehit) , lavorando per le nostre sorelle e fratelli, cercando di dare loro aiuto e accoglienza.
Nel 2013 mi è stato comunicato che ero stato nuovamente condannato ad altri 7 anni e mezzo. A questo punto, ho deciso di fuggire insieme a Sirin, per evitare altre feroci torture ed umiliazioni alla mia dignità, arrivando nel Kurdistan irakeno (Basur) nella città di Sulemani, dove ho trascorso 4 anni per curare il mio male, 4 anni di speranze, e delusioni, ma anche gioia nel poter riabbracciare mia figlia Viyan dopo lunghissimi anni di lontananza.
Finalmente nel 2017 sono arrivato in Italia, prima a Roma, dove ho conseguito il permesso di soggiorno per asilo politico e, dopo 1 anno, in una città toscana con mia moglie Sirin, arrivata con ricongiungimento familiare, grazie alla Comunità Curda.
Dalla sanità pubblica, alla quale mi sono rivolto passando per la commissione medica, sono stato riconosciuto invalido totale al 100% con impossibilità di deambulazione senza l'aiuto permanente di un accompagnatore, e inabilità lavorativa.
Io e Sirin, abitiamo in questa città della Toscana grazie alla Comunità Curda che garantisce la nostra sopravvivenza.
Questa è la mia storia e quella di Sirin, la mia “dolce” moglie, compagna di una vita che ha lottato con me per la libertà e la dignità del nostro popolo.
Questa è la storia di un Curdo che insieme a tanti altri, da sempre, ha lottato per il progetto culturale e organizzativo di una nazione democratica, il confederalismo democratico che si basa sulla partecipazione dal basso e dove i suoi processi decisionali sono all'interno della Comunità, organizzazione autonoma democratica della società senza rivendicazione del potere.
Questo è il progetto e la speranza della maggior parte del nostro popolo che tutt'oggi subisce l'attacco mai terminato del dittatore turco Erdogan, il vero massacratore dei Curdi, che, nel silenzio generale, ha bombardato il Rojava dopo la fuga degli USA dal Nord-Est della Siria, che continua a bombardare campi profughi curdi in Iraq e sulle montagne del Nord iracheno a Zap e Avasin, dove ci sono le basi del Partito dei Lavoratori Curdi.
Non potranno mai eliminare le fondamenta del pensiero e della messa in atto del Confederalismo democratico, nonostante i massacri, le devastazioni, le offensive militari da parte della Turchia, un Paese che si fa beffa dei principi fondamentali della democrazia e delle regole di convivenza civile.
Oggi più che mai c'è bisogno del sostegno internazionale, oggi più che mai c'è bisogno che i partiti della sinistra autentica siano a noi vicini nella lunga battaglia per il riconoscimento dei nostri diritti e per l'attuazione ovunque sia possibile del Confederalismo democratico.