di Luciano Cerasa *
L’inflazione e l’economia di guerra mordono il carrello della spesa e minacciano la salute di famiglie e pensionati. Mentre i salari rimangono al palo e cresce il ricorso alla cassa integrazione, l’alimentazione dei ceti popolari si sta facendo più povera.
Secondo gli ultimi dati forniti dalla società di ricerca NielsenLQ, a marzo le vendite di pesce fresco nei supermercati sono diminuite del 18% rispetto allo stesso periodo del 2021 e quelle di formaggi del 4,9 per cento. In calo anche il consumo di prosciutto crudo e bresaola a vantaggio di salame e mortadella (+6 per cento). Crescono invece il consumo di carne in scatola, aumentato del 20 per cento e degli alimenti a minore costo unitario, come pasta (+20%), riso (+17%), pane e sostitutivi, legumi in scatola e secchi.
Per contenere la spesa ci si rivolge sempre più ai prodotti dei discount. Nei primi tre mesi del 2022, i “top brand” hanno registrato un calo delle vendite del 4,1% mentre le marche dei distributori sono cresciute dell'1,9% e quelle dei piccoli distributori dell'1,3 %. E per i prossimi giorni si preannunciano nuovi aumenti sugli scaffali. Alcuni produttori hanno già richiesto alla grande distribuzione di ritoccare i listini concordati nel primo trimestre dell’anno e si assisterà sempre più alla pratica di ridurre la quantità di prodotto nelle confezioni mantenendo lo stesso prezzo.
Una precedente ricerca della NielsenLQ ha rilevato che il Covid ha già modificato profondamente la capacità e i comportamenti di spesa.
Il 20% dei consumatori ha cambiato le proprie priorità. Il 52% del totale in Italia rientra oggi nel profilo dei “cauti”, contro il 38% a livello mondiale. Comprare dall'estero diventerà sempre più costoso per il rincaro dei prezzi dei trasporti e degli imballaggi. Per questo la spesa a chilometro zero potrebbe rivelarsi più economica e sicura al tempo stesso. Il 43% dei consumatori “prudenti” che si aggirano tra gli scaffali del supermercato si orienta verso l'acquisto di prodotti in promozione, ma una quota consistente (l’11%) ha dovuto abbandonare definitivamente le marche di qualità.
Anche il famigerato Fondo Monetario Internazionale, primo “affamatore” della popolazione mondiale, è costretto ad ammettere in un recente report che, per contenere l’effetto dell’aumento dei prezzi interni e della crisi economica indotta prima dalla pandemia e poi dalla guerra, i governi hanno fatto scelte sbagliate. Le erogazioni hanno beneficiato soprattutto i grandi gruppi imprenditoriali, come il caso in Italia di Fca, che ha riportato risultati record di gruppo e in Nord America nel quarto trimestre del 2020, distribuendo dividendi prima della fusione miliardaria con Stellantis e dopo aver ricevuto i robusti sostegni dal governo pro-tempore per compensare inesistenti effetti negativi (per loro) della crisi economica innescata dalla pandemia.
Poi si è preferito tagliare le imposte anche a chi non ne aveva bisogno, invece di introdurre patrimoniali efficaci per redistribuire il reddito e lottare seriamente contro l’evasione fiscale, per finanziare gli investimenti pubblici e il welfare. Oppure si è pensato di raffreddare la tensione sociale e economica erogando sussidi, generalizzati e di poco conto per lavoratori e famiglie, ma ben concentrati, come abbiamo visto, su imprese e multinazionali. Perfino l’indicazione del Fondo monetario internazionale, invece, è di introdurre supporti diretti a categorie specifiche di cittadini (come i lavoratori a basso reddito) e, in ambito internazionale, garantire, attraverso la cooperazione, un aiuto tecnico-finanziario ai Paesi in via di sviluppo.
* Giornalista economico