Intervista a Faisal Saleh, direttore del Palestine Museum US
Ai blocchi di partenza della Biennale di Venezia, che quest’anno si tiene dal 23 aprile al 27 novembre, figura, finalmente, anche una rappresentanza artistica della Palestina. A Palazzo Mora, infatti, una selezione di diciannove artisti, ospitati dal Palestine Museum del Connecticut, mettono in mostra quanto di più bello le arti figurative palestinesi contemporanee hanno in serbo. In From Palestine with art, questo il nome dell’evento collaterale della Biennale, pittura, scultura, fotografia, ricamo e installazioni danno al visitatore l’opportunità di immergersi in uno spaccato della vita artistica palestinese. Antonino d’Esposito, arabista e traduttore, ha incontrato per i lettori di RiveArabe il direttore del museo statunitense, Faisal Saleh, nella serata inaugurale della mostra e gli ha posto qualche domanda.
Come vengono selezionati gli artisti da esporre al Palestine Museum?
In genere, teniamo d’occhio i social media e i post che riguardano gli artisti palestinesi, poi ci mettiamo in contatto con quelli che ci sembrano promettenti. Riceviamo anche un grosso numero di segnalazioni da artisti palestinesi che vorrebbero esporre con noi. Altre volte, ci capita di avere suggerimenti da parte di artisti e/o persone con cui già collaboriamo. Passiamo in rassegna tutte le opere che ci giungono e proviamo a farle rientrare nelle tematiche delle esposizioni che programmiamo. Parliamo con gli artisti e, nel caso, selezioniamo quello che verrà ospitato nel museo.
Cosa significa essere a Venezia?
Venezia è l’evento artistico più prestigioso al mondo. È come vestire la divisa della nazionale alle Olimpiadi o essere nominati agli Oscar. La visibilità e la pubblicità che vengono dalla partecipazione alla Biennale sono inimmaginabili. Per la Palestina si tratta del riconoscimento della nostra esistenza e del supporto a quanto andiamo sostenendo da anni. È un’opportunità per adempiere alla nostra missione: raccontare la nostra storia palestinese a un pubblico mondiale attraverso l’arte. Ci sono già state dozzine di articoli, reportage e interviste su questa partecipazione; ed è solo l’inizio. Anche diversi collezionisti e curatori sono interessati all’arte palestinese, quindi prendere parte a questa esposizione per gli artisti è importantissimo. In un certo senso, questo evento collaterale della Biennale contribuirà a rivalutare l’arte palestinese sul mercato globale.
L’arte può essere un’arma, anche più potente delle bombe. Cosa ne pensa?
L’arte è un linguaggio universale, recepito in tutto il mondo senza bisogno di traduzioni. L’arte ci dà l’opportunità di arrivare direttamente al cuore della gente, senza filtri, e crea empatia per lo stato di ingiustizia pluridecennale che stiamo soffrendo. Col tempo, speriamo di poter cambiare le politiche di parte che il mondo occidentale assume nei confronti della Palestina e del suo popolo.
I visitatori italiani della mostra From Palestine with art sanno qualcosa della Palestina o no?
Alcuni italiani sembrano sapere della Palestina molto di più rispetto alla media dei visitatori provenienti da altre nazioni occidentali. In genere, penso che gli Italiani tendano ad essere più comprensivi e sensibili verso la Palestina, forse è dovuto a una maggiore vicinanza geografica e all’orientamento politico.
Qual è il futuro dell’arte palestinese?
Ci aspettiamo che l’arte palestinese continui a prosperare e ad essere accettata nei circoli artistici mondiali, dopo decenni in cui è stata ignorata e messa da parte.
Pensa di aprire altre sedi del Palestine Museum nel mondo?
Il Palestine Museum è ovviamente interessato a diffondersi nel maggior numero di città possibile, ma, naturalmente, ciò richiede rilevanti risorse economiche. Abbiamo avuto, localmente, supporto a quest’idea in Europa, Asia e nelle Americhe. Speriamo vivamente di vedere i semi di questa meravigliosa pianta attecchire altrove nei prossimi anni.
Faisal Saleh e Nancy Nesvet, curatrice del museo, per la serata inaugurale non si sono limitati a presentare le arti figurative della Palestina, ma hanno pensato bene di deliziare anche gli altri sensi dei fortunati invitati alla cerimonia. Una cena a base di piatti tipici della cucina palestinese ha fatto infatti da preludio a una soirée musicale. Il soprano giordano-palestinese Zeina Barhoum, accompagnata al pianoforte dal M° Mohammed Sidiq, ha eseguito arie d’opera, canti popolari palestinesi e canzoni dell’immortale Fayrouz alternando arabo, francese e italiano; a chiusura, il duo violino-viola, composto da Hisham Khoury e Sadra Fayyaz, ha sigillato la serata col duo di Mozart in sol maggiore. Un’ulteriore dimostrazione di quanto l’arte non badi ai confini politici creati dall’uomo, ma si impegni ad abbattere le frontiere per puntare ai sentimenti delle persone.
Una mostra unica, densa; un’occasione imperdibile.
Lunga vita all’arte palestinese e al Palestine Museum.
FONTE: rivearabe.comArticolo di Antonino d’Esposito