Dino Greco*
Credevamo che di transumanza in transumanza il Pd avesse completato, come nei peggiori film horror, la propria metamorfosi politica. Credevamo che l’approdo nell’alveo della cultura liberista descrivesse compiutamente il nuovo profilo culturale e politico di quel partito. Credevamo che definire il Pd, con una formula sintetica, come la “sinistra del capitale” spiegasse ormai tutto. Ci sbagliavamo. Perché quando rompi gli argini, quando a trattenerti non c’è più alcun freno inibitorio, neppure di natura morale, allora la tua cultura originaria si dissolve e la tua deriva si trasforma in una precipitosa fuga nell’opposto. È così che l’ultima e fondamentale roccaforte, la Costituzione, è stata divelta dai suoi cardini, già tremolanti per incuria e disinnamoramento. Il progetto di società che vive in essa sbiadisce sino a corrompersi e i principi che lo innervano vengono recisi dalle radici. Accade così che persino il ripudio della guerra si trasformi nel suo rovescio e improvvisati esegeti della Resistenza scambino la partecipazione armata al conflitto in Ucraina a fianco del Battaglione Azov come un atto coerente con la lotta di Liberazione di cui in Italia furono protagonisti i partigiani. Nel nome degli immarcescibili valori dell’Occidente, il Pd aderisce come un guanto alla nobile missione della Nato, assurta a nuova frontiera della civiltà, in un mondo in cui buoni e cattivi sono inesorabilmente separati da una netta linea di demarcazione, senza dubbi e chiaroscuri. Dove tra i cattivi, fra coloro che provano a ragionare e alzare lo sguardo sulle drammatiche contraddizioni del nostro tempo, figurano, in ordine sparso, il Papa, monsignor Bettazzi, monsignor Ricchiuti, Raniero La Valle, Tomaso Montanari, Marco Travaglio, Lucio Caracciolo e tanti altri, non certo vittime di nostalgie zariste e tuttavia collocati d’ufficio nella reggia di Putin dal Pd e da tutta la cortigianeria mainstream. Ma un’attenzione particolare il Pd sta dedicando a Gianfranco Pagliarulo e all’Anpi, responsabili di non avere scambiato la guerra per un lavacro purificatore. Pagliarulo, come tutta la compagnia pacifista, è un traditore, perché chiede che una seria trattativa, piuttosto che il protrarsi della carneficina, metta fine alla guerra e perché non si accoda ai mercanti di armi che sulla guerra stanno lucrando enormi profitti. C’è con tutta evidenza, in questa compulsiva offensiva scatenata contro l’Anpi, qualcosa di inquietante, che cova da tempo nelle acque stagnanti della politica italiana. Si tratta dell’intenzione di dichiarare estinta la funzione dell’associazione partigiana, considerato che, per ragioni anagrafiche, larghissima parte di coloro che salirono in montagna non sono più e che, dunque, l’Anpi attuale non rappresenterebbe più l’autorità morale di un tempo. In realtà, è tutta l’attività militante dell’Anpi per la difesa e l’attuazione della Costituzione che si vuole mettere in mora. Ed è l’antifascismo stesso che si pretende di archiviare in ragione della fola che il fascismo sarebbe finito il 25 aprile 1945. Dunque, basta con la retorica antifascista e “decomunistizzare” l’Anpi, se proprio non si vuole scioglierla, come pretenderebbe Arturo Parisi, ex ministro della difesa del secondo ministro Prodi. Via l’Anpi, mentre non si riesce (non si vuole) mettere fuori legge le organizzazioni neo-fasciste, provviste di solide protezioni, in barba alla Carta e alle leggi Scelba e Mancino che ne autorizzerebbero l’immediata messa al bando. Così si chiude il cerchio e giunge a compimento la lunga traiettoria di fuoriuscita dalla democrazia costituzionale, sostituita dall’ipocrisia guerrafondaia del neo-atlantismo, esportatore seriale di democrazia. Bisogna rendersi conto di dove porta questa ruzzola, ammesso che non sia già troppo tardi. *ex direttore del quotidiano “Liberazione" Fonte: Il fatto quotidiano del 23 aprile