di Massimo Congiu
Quella subita dal blocco di opposizione alle recenti elezioni ungheresi è stata davvero una batosta. Neanche un cartello elettorale, il primo formatosi a livello nazionale dal 2010, ossia da che Orbán è tornato al potere, è riuscito a ridimensionare il potere del premier. In realtà, soprattutto ai più attenti, non sarà sfuggito il fatto che “Uniti per l’Ungheria” è risultata essere meno unita di quanto non suggerisse il suo nome. Vi sono stati, infatti, dei disaccordi al suo interno e una certa difficoltà nel determinare il nome del candidato da presentare alle elezioni del capo dello stato vinte, peraltro, da Katalin Novák, fedelissima di Orbán. E ora, all’interno del blocco di opposizione e dei suoi sostenitori c’è chi se la prende col candidato premier Péter Márki-Zay e afferma che non c’è stata una vera e propria strategia elettorale, pur considerando i sospetti di brogli elettorali che circolano negli ambenti antigovernativi.
Niente da fare, dunque, per questa alleanza di sei partiti che va dai socialisti (MSZP) ai verdi, passando per centristi, liberali, e per Jobbik. Quest’ultimo è nato nel 2003 come partito radicale di destra, apertamente antisemita, anti-rom e xenofobo, che da qualche tempo a questa parte vuol farsi percepire dall’elettorato come forza politica conservatrice, sì, nazionalista, sì, ma moderata. Chissà, però, quante persone, in Ungheria, tra quelle da sempre lontane da tali posizioni, hanno dimenticato le sue origini. Probabilmente non molte, viene da dire. Non molte soprattutto negli ambienti più progressisti della società civile.
E la sinistra in questo scenario, quale peso ha?
Analisti politici ungheresi fanno notare che, negli ultimi anni, le posizioni dei principali partiti dell’opposizione si sono spostate a sinistra. Nel senso che vi sarebbe stato, da parte loro, un impegno sui fronti del reddito di base, dei minimi sociali garantiti - anche sul piano dei servizi (le utenze, ad esempio) -, del diritto alla casa e degli aiuti per i più poveri. Si tratta, effettivamente di temi delicati che corrispondono a necessità realmente esistenti in Ungheria ed espresse da una parte non irrilevante della popolazione. Quello della casa, ad esempio, è un problema che l’opposizione intendeva affrontare con investimenti in alloggi sociali per dar modo ai meno abbienti di comprare un appartamento o prenderlo in affitto. Di fatto, però, sembra che la medesima non avesse concepito un piano strutturato in tale ambito e che non fosse andata oltre la promessa elettorale. Anche gli altri intenti, quelli relativi all’abrogazione delle leggi ingiuste di Orbán e al ripristino dello Stato di diritto e della libertà di stampa, sono rimasti sulla carta, vista la cocente sconfitta.
Sul piano della politica “mainstream”, però, non sembra si possa andare molto più a sinistra di così. Se in Ungheria cerchiamo una sinistra anticapitalista, anti-atlantista e realmente critica verso certe posizioni dell’Ue dobbiamo esplorare ambienti diversi e per nulla influenti sul piano politico. Vi troviamo piccoli partiti, gruppuscoli in movimento e tante buone intenzioni, ma al momento non si va oltre. I due partiti operai, Munkáspárt e Munkáspárt 2006, rappresentano qualcosa di più strutturato in questo senso, ma non hanno alcun potere contrattuale. Va considerato che parliamo di un paese che, dalla svolta del 1989, non ha più visto in parlamento un partito che abbia riferimenti comunisti. Risulta che quest’anno Munkáspárt abbia dato luogo ad un’alleanza con Szolidaritás e con Igen, il partito di cui è cofondatore Tibor Szanyi, fuoriuscito del Partito Socialista (MSZP). Si tratta di un soggetto politico che ha visto la luce nel 2020; “Veled Vagyunk! (Siamo con te) il suo slogan, rosso il suo colore. Esso ha per riferimenti la democrazia sociale, l’ecologismo e l’europeismo. Di fatto, però, ha ben poca presa sull’elettorato e di conseguenza i risultati alla prova del voto dell’alleanza di sinistra non sono andati oltre lo 0,16%. Munkáspárt 2006, invece, non è riuscito a presentare le liste e sembra che rischi addirittura lo scioglimento.
In definitiva bisogna riconoscere che queste realtà politiche non hanno consistenti basi sociali e che molti elettori non conoscono neppure l’esistenza di certi partiti o addirittura ritengono che non ci sia nulla a sinistra dell’MSZP.
Le cose non vanno molto meglio in ambito sindacale: le organizzazioni che operano in tale settore non godono della considerazione popolare in quanto vengono viste come ininfluenti o addirittura non pervenute. Di fatto, non possono contare granché sulla collaborazione dei lavoratori dipendenti che, o non le considerano soggetti dotati di potere contrattuale o hanno paura di perdere il posto. La MASZSZ è la principale confederazione sindacale, risulta orientata a sinistra/centro-sinistra e nel 2018 si è mobilitata a favore della libertà accademica e contro la legge sugli straordinari. Il suo attuale presidente, László Kordas vorrebbe fare della MASZSZ un’organizzazione ombrello che metta insieme diverse realtà della società civile.
Va detto che proprio dalla società civile, particolarmente in questi ultimi dodici anni, sono partite le iniziative di protesta antigovernativa più coinvolgenti e creative; senz’altro più stimolanti di quelle dovute all’opposizione partitica.
La sinistra anticapitalista e anti-atlantica deve invece cercare una nuova definizione e trovare la sua strada nella vita politica ungherese e nella percezione della gente. Non sarà facile.