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Proposta indecente: armi ’beni essenziali’ esenti da Iva.
Difesa europea. «Beni di consumo» molto particolari a quanto pare destinati all’esenzione totale dell’Iva: parliamo di armi e sistemi d’arma prodotti e venduti in Europa.

Gregorio Piccin*

Pane, latte e pasta sono considerati beni primari a tal punto importanti che lo Stato ne supporta il consumo attraverso un ribasso dell’Iva al 4%. Avviene anche per altri beni di consumo e servizi: farmaci, trasporti, forniture energetiche e idriche per uso domestico su cui il ribasso è fissato al 10%. Vi sono poi «beni di consumo» molto particolari a quanto pare destinati all’esenzione totale dell’Iva: parliamo di armi e sistemi d’arma prodotti e venduti in Europa. Sembra una “fake” eppure è esattamente quello che ha proposto Ursula von Der Leyen nel recente discorso sullo stato dell’Unione: «Potremmo prendere in considerazione l’esenzione dall’Iva per l’acquisto di materiale di difesa sviluppato e prodotto in Europa». Sinistra Europea nell’Europarlamento ha lanciato una campagna per bloccare l’iniziativa; «La proposta di finanziare con le nostre tasse, attraverso l’abbattimento dell’Iva, il commercio delle armi, è una proposta semplicemente criminale. Se i soldi gettati via con quella riduzione dell’Iva, venissero usati per lavori utili come il riassetto idrogeologico del territorio, avremo molti posti di lavoro in più che non nell’industria delle armi», ha commentato Paolo Ferrero, vice presidente di SE. La proposta della Commissione europea non è tuttavia farina del sacco di von Der Leyden. Dal punto di vista delle capacità militari-industriali il nostro Paese è il terzo tra i quattro (Francia, Germania, Italia, Spagna) che hanno costituito il nucleo promotore della Permanent structured cooperation (Pesco) e fu l’allora ministra della difesa Roberta Pinotti (Pd) a giocare per prima la carta dell’esenzione Iva in vista degli accordi per imbastire la cosiddetta difesa europea: «La nostra proposta – dichiarava Pinotti – prevede in primis uno stimolo all’industria della difesa, mediante un piano di incentivi fiscali e finanziari rivolto ai progetti europei di cooperazione militare, con esenzione dall’Iva e sostegno della Banca europea degli investimenti». Lo spostamento della «cortina di ferro» dal Friuli e dalla Germania a ridosso dei confini russi, oltre a colpire duramente l’economia reale di Paesi come il nostro (sanzioni, controsanzioni, prezzo del gas…), ha già prodotto un aumento delle spese militari in Paesi come Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania che hanno centrato il parametro Nato del 2% sul Pil. E anche se questi Paesi si considerano più vicini agli Usa che all’Ue, è pur vero che la Pesco, se rafforzata dalla misura dell’esenzione Iva, renderebbe decisamente più vantaggiosa e concorrenziale la merce bellica convenzionale made in Europe. Non a caso questo è uno degli attriti più brucianti con gli Stati uniti che da tempo insistono per entrare nel programma Pesco nonostante la partecipazione sia preclusa a Paesi extra Ue. Ma come sempre accade, un successo per l’industria bellica nazionale od europea corrisponde ad una distrazione di risorse dalle cose che fanno la differenza nella vita di cittadini e cittadine: i salari sono bloccati, in particolare in Italia dove sono addirittura diminuiti rispetto al 1990, il carovita galoppa con aumento generalizzato dei prezzi, la crisi sociale morde ovunque. I 76 eletti italiani (da FdI al Pd passando per Lega e M5S) al Parlamento europeo non hanno fiatato su questa proposta indecente fa tta per deregolamentare il mercato delle armi in vista dell’edificazione della «Difesa europea» – così, è bene saperlo, aumentaranno i profitti privati e si ridurrà l’introito fiscale degli Stati. Per questa trasversale classe politica, comunque atlantista, di «responsabili» quando si parla di corsa agli armamenti e regalie all’industria bellica, «austerità» e «moderazione» non sono mai di casa. *responsabile pace del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea