Teresa Isenburg
Il 25 settembre 2021 il sindaco in esercizio di San Paolo, Ricardo Nunes, ha firmato la decisione definitiva di cambiare la denominazione della Rua Doutor Sérgio Fleury della Vila Leopoldina nella Zona Ovest di San Paolo. Essa prenderà il nome di Rua Frei Tito. E allora? si dirà. Allora i simboli plasmano anche le menti. Già nel 2010 una legge comunale stabiliva la possibilità di alterare il nome di localizzazioni che rendevano omaggio a persone accusate di non rispetto dei diritti umani. Naturalmente “le leggi son, ma chi pon mando ad esse?” e la resistenza passiva a tale disposizione è stata forte. Quindi in questi anni di oscurantismo e regresso democratico che il Paese attraversa tale piccolo fatto ha significato. In questo caso riafferma che la dittatura militare è durata venti anni, ha perseguitato e torturato nel nome dello Stato cittadini e cittadine, ma che negare non riesce a cancellare la memoria né la pazienza di chi continuerà, con perseveranza, a ricordare e a obbligare altri a ricordare. Sérgio Fleury commissario del Dipartimento di ordine politico e sociale (Dops) fra il 1968 e il 1979 è attivo a San Paolo e opera contro oppositori politici come torturatore efferato. Fleury scompare nel 1979 in una morte sospetta quando, in vista di una “apertura lenta, graduale e sicura”, come concepita dal “presidente” generale Ernesto Geisel e dal principale ideologo della dittatura generale Golbery de Couto e Silva, alcune figure impresentabili (e informate) sono state in vario modo fatte uscire di scena. Fra i vari crimini attribuiti in prima persona a Fleury vi è la tortura di Frei Tito, uno dei domenicani attivi nella resistenza alla dittatura e duramente perseguitati. Quel giovane sacerdote di 28 anni, accolto in esilio in Francia, si suicidava il 10 agosto 1974, devastato nell’anima dalla discesa agli inferi della tortura. Oggi l’edificio in cui per anni ha funzionato il Dops in Largo general Osorio 66 nel quartiere Santa Ifigenia, a San Paolo, è diventato Memoriale della resistenza, luogo importante e visitato da scolaresche e cittadin*. Ma molto rimane da fare a San Paolo. In particolare la sede del Doi-Codi/Departamento de operações de informações-Centro de defesa interna, organo subordinato all’esercito, dove operava il torturatore responsabile di molte morti Carlo Brinhante Ustra (documentatamente accusato nell’ambito della Commissione nazionale della verità), amico e modello di Jair Bolsonaro, deve diventare anch’essa museo di memoria e resistenza. Per adesso quello che si è ottenuto è stato di vincolare l’edificio e così salvarlo dalla speculazione edilizia, mentre il Comitato paolista di memoria verità e giustizia non demorde dal suo progetto. Viceversa a luglio 2016, la sopraelevata Costa e Silva, maresciallo secondo “presidente” della dittatura, ha cambiato il proprio nome in Presidente João Goulart, quello legittimo e costituzionale deposto dal golpe del 31 marzo 1964. Comunque quei tre chilometri della radiale est-ovest voluta dal sindaco di nomina dell’esecutivo federale Paulo Maluf e inaugurati il 25 gennaio 1971 come opera faraonica a futura memoria della dittatura rimarrà sempre il Minhocão, il grande lombrico che ha stravolto una vasta area che aveva un suo decoro, senza risolvere i problemi del traffico dal momento che nell’ora di punta del mattino vi si incodano 19.000 veicoli. In teoria questo mostro edilizio, la cui demolizione è troppo costosa, dovrebbe diventare un parco e già adesso sabato e domenica è solo per pedoni. Il 24 luglio 2021 un piccolo gruppo ha dato fuoco alla enorme statua che si trova al numero 5782 della Avenida Santo Amaro, nella Zona Sud di San Paolo. Il monumento ricorda il ruolo dei bandeirantes, in questo caso Borba Gato, che soprattutto nel corso del 1600 compivano spedizioni economico-militari partendo dalla città di San Paolo per razziare schiavi indios e negri fuggiti verso l’entroterra e per cercare metalli e pietre preziosi. Imprese di estrema violenza e brutalità ricordate nella storiografia tradizionale come opera di incivilimento di popolazioni primitive. L’azione è stata promossa da un militante che organizza le lotte dei fattorini, cioè coloro che fanno le consegne a domicilio divenuti indispensabili durante la pandemia. L’obiettivo è di mettere in discussione l’interpretazione della storia di San Paolo per dare spazio e visibilità alle popolazioni native, agli afrodiscendenti, ai lavoratori, insomma ai più e non solo alla élite. I simboli diffusi nello spazio pubblico hanno ovviamente una importanza non trascurabile perché trasmettono in modo continuativo messaggi. Una possibilità è che tali manufatti vengano tolti dai luoghi pubblici e trasferiti in sedi museali o simili debitamente accompagnati da spiegazioni che ne contestualizzino il significato. Questa azione di recupero degli spazi pubblici è oggi assai diffusa: si veda ad esempio la distruzione delle statue di Cristoforo Colombo che avviene un po’ dovunque in America Latina e recentemente nel centro di Città del Messico e che si ricollega alla vasta azione di rilettura del significato dell’approdo di Cristoforo Colombo nelle Americhe avviata in coincidenza con il quinto centenario. Oppure l’abbattimento dei monumenti di omaggio ai protagonisti della Confederazione negli stati del sud degli Usa. Personalmente ritengo che queste azioni anche energiche per risignificare i luoghi sia legittima e necessaria: se chi amministra le città e gli spazi pubblici non ha cultura e competenza per capire che il mondo si modifica e che questo riguarda anche i simboli che punteggiano il territorio, è necessario che altri si assumano tale compito.