di Massimo Congiu -
Una lettera indirizzata dal presidente di Munkaspárt 2006 (Partito dei Lavoratori Ungheresi 2006), Attila Vajnai, alla vicepresidente del Parlamento europeo, Klára Dobrev, membro del partito di centro-sinistra ungherese DK (Demokrátikus Koalíció, Coalizione Democratica), iscritta al gruppo dei Socialisti e Democratici, chiede di prendere posizione nei confronti dell’alleanza stretta fra i principali partiti dell’opposizione ungherese in funzione delle elezioni che si svolgeranno ad aprile dell’anno prossimo. Il motivo della richiesta è che all’interno di questa alleanza c’è il partito Jobbik, nato come soggetto politico di estrema destra e a lungo caratterizzato da atteggiamenti ostili nei confronti di Rom e membri della comunità ebraica del Paese.
Ma spieghiamo meglio i retroscena di questa vicenda: protagonisti dell’iniziativa politica sono sei partiti che vanno dai socialisti ai nazionalisti di Jobbik passando per forze di estrazione centrista, liberale e verde. L’accordo tende alla creazione di una lista nazionale e relativa presentazione di un solo candidato comune in ogni circoscrizione uninominale. A capo della lista vi sarà un unico candidato premier che verrà designato attraverso un meccanismo di elezioni preliminari secondo una pratica inusuale in Ungheria. Al momento, i riflettori sono puntati su Gergely Karácsony (Párbeszéd Magyarországért, Dialogo per l’Ungheria), sindaco di Budapest dall’autunno del 2019, indicato da molti ungheresi come l’anti-Orbán. Da considerare che Karácsony è diventato primo cittadino di Budapest nel contesto di elezioni amministrative che hanno rappresentato la prima vera e propria sconfitta delle forze governative che nella circostanza avevano perso diversi importanti centri del Paese.
Il tutto grazie ad uno schieramento di forze della cosiddetta opposizione democratica e a un accordo di desistenza con Jobbik.
Ci si chiedeva se un simile schema avrebbe potuto funzionare anche a livello nazionale. Ora, come abbiamo visto, esiste un accordo di tipo elettorale, un’alleanza che alcuni recenti sondaggi hanno visto in leggero vantaggio sulle forze governative.
Ma parliamo un attimo di Jobbik. Si tratta di un soggetto politico che ha iniziato a segnalarsi nei primi anni 2000 come movimento prevalentemente costituito da giovani intenzionati all’epoca a riportare in auge i valori nazionali ungheresi. Xenofobo, razzista, ostile alla NATO e all’Ue, anticonsumista, piazzava grandi croci di legno nelle vie commerciali di Budapest, soprattutto in occasione delle feste natalizie proprio per un recupero di valori.
È diventato partito a tutti gli effetti nel 2003, prendendo il posto del MIÉP (Magyar Igazság és Élet Pártja, Partito della Giustizia e della Vita Ungherese) che negli anni Novanta è stato l'alfiere dell’ultranazionalismo revisionista magiaro, prima di sparire praticamente dalla scena nel 2006. Rispetto al MIÉP, Jobbik si è subito contrassegnato come partito più dinamico, caratterizzato da una connotazione più giovanile, aggressivo quanto basta e anche di più, desideroso di realizzare un ampio consenso popolare con la promessa di un rinnovamento spirituale, politico e culturale della società ungherese.
Frequenti i suoi attacchi verbali nei confronti della comunità Rom ed ebraica del Paese, aperto il suo culto del reggente Miklós Horthy, a suo tempo capo di un regime autoritario, antisemita, alleato della Germania nazista. Nell’estate del 2007, Jobbik ha presenziato all’investitura solenne della Guardia Ungherese (Magyar Gárda), un corpo paramilitare nato con l’intento di contrastare la politica degli “ex comunisti”, colpevoli di aver venduto il paese all’Ue, alla NATO e alle multinazionali. Secondo fonti locali, la Guardia Ungherese prevedeva anche di dar luogo, in prospettiva, ad addestramenti con le armi per realizzare il suo confuso progetto di autodifesa. Non ne ha avuto il tempo grazie ad una sentenza del Tribunale di Budapest che ne ha deciso lo scioglimento per via di una serie di discorsi pubblici tesi a istigare l’odio razziale, e di marce fatte a scopo intimidatorio in località contrassegnate da ingenti presenze Rom.
Col tempo, si è assistito ad una crescita di Jobbik che è apparsa particolarmente preoccupante alle elezioni del 2014, ungheresi ed europee. In contrasto col partito governativo Fidesz, che secondo Jobbik ha ingannato gli elettori e creato un sistema corrotto di oligarchie e centri di potere capaci di strangolare qualsiasi forma di partecipazione popolare all’interno del Paese. Oggi questo partito accusa il governo di deriva antidemocratica e dall’indomani delle elezioni del 2018 vinte da Orbán per la terza volta consecutiva, ha iniziato a partecipare alle manifestazioni organizzate da forze politiche di opposizione caratterizzate da ben altro orientamento.
Da diversi anni a questa parte, ha deciso di dar luogo ad una svolta “moderata” per farsi percepire dall’opinione pubblica non più come partito estremista di destra, ma come soggetto politico conservatore, nazionalista, sì, ma moderato, e probabilmente sta cercando ancora di stabilire una sua identità politica. Di fatto, ha bandito ogni atteggiamento anti-Rom e antisemita. Ma è veramente e intimamente cambiato?
La lettera di Vajnai fa anche riferimento a János Stummer, vicepresidente del partito, capogruppo di Jobbik all’Assemblea nazionale. Nel documento si fa presente che Stummer è in contatto con il leader del Movimento Ungherese di Autodifesa che starebbe cercando di raccogliere l’eredità della Guardia Ungherese e che questa circostanza contribuisce a rendere inaccettabile l’alleanza elettorale con Jobbik di fronte ai principi democratici affermati dall’Unione europea.
Certo, vi è da dire che il grosso dell’elettorato delle forze della cosiddetta opposizione democratica spiega di non sentire alcun legame di parentela con Jobbik, men che meno la società civile progressista che in questi ultimi anni ha dato luogo a diverse iniziative di protesta contro il governo, forse quelle più stimolanti e interessanti svoltesi da quando Orbán è al potere.
È però possibile che stia prevalendo il principio secondo il quale uniti si vince e che ora la priorità, la necessità assoluta, è riuscire a battere Orbán, cosa comunque non facile. Nel caso in cui ciò dovesse avvenire, ed è il caso di ripetere che non sarà facile, occorrerà pensare a costruire il dopo, costruire e ricostruire.
E anche questo sarà un impegno molto difficile, per quanto necessario. Lo dimostra anche la recente legge ungherese che, secondo Amnesty International e altre organizzazioni attive sul fronte della difesa dei diritti civili, costituisce un duro colpo nei confronti della comunità Lgbtq. Contro questa disposizione che, tra l’altro, vieta di affrontare l’argomento dell’omosessualità nelle scuole, è stata prodotta una dichiarazione congiunta di tredici Paesi dell’Ue, compresa l’Italia.