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Messico-Usa: da Trump a Biden
Obey Ament * - Nel luglio 2018, la sinistra latinoamericana ha salutato l’elezione di Andrés Manuel Lopez Obrador come il segno di una possibile battuta d’arresto al ritorno della destra nella regione e come un sostegno alla resistenza contro le politiche interventiste degli Stati Uniti. Dopo la rivoluzione del 1910, il Messico si è sempre distinto per le sue posizioni in politica estera, favorevoli al non intervento e all’autodeterminazione dei popoli, alla difesa del principio di non ricorso alla forza e della ricerca di soluzioni ai conflitti mediante il dialogo, così come per una ferma posizione in difesa della pace. Il fatto di essere il vicino della maggior potenza del mondo capitalista gli ha valso vari interventi armati e la spoliazione di metà del suo territorio, e questo ha rafforzato le sue posizioni non allineate. Questa vicinanza ha anche prodotto una stretta relazione economica e flussi migratori importanti. I paragrafi seguenti cercheranno di mostrare la complessità di questa relazione. Per ragioni di spazio, alcuni punti importanti come la sicurezza, il narcotraffico e le divergenze sulle politiche di ingerenza in America Latina non potranno essere qui trattati. A differenza di altri Paesi della regione, che hanno seguito gli Stati Uniti su questa strada, il Messico ha rifiutato di rompere con Cuba. Nel 1967 il Messico ha dato impulso al Trattato di Tlatelolco, con il quale i trentatré Paesi latinoamericani si impegnavano in favore della messa al bando delle armi nucleari. Il Messico ha accolto migliaia di militanti di sinistra minacciati di morte e perseguitati dalle dittature del Cono sud e ha avuto un ruolo importante in favore della pace in America Centrale con la creazione del Gruppo di Contadora. Con la svolta neoliberista degli anni ’90 e l’adesione al NAFTA, questo impegno progressista è stato abbandonato in favore di un allineamento alle posizioni di Washington. Il presidente Vicente Fox (2000-2006) si è adoperato in favore dell’Accordo di libero scambio delle Americhe (ALCA), che nel 2005 - in occasione del Vertice del Mar de Plata - è stato rifiutato dalla maggioranza dei Paesi presenti sotto l’impulso dei presidenti Lula da Silva, Nestor Kirchner e Hugo Chavez. Sotto la presidenza di Enrique Peña Nieto, il Messico ha partecipato alla creazione del “Gruppo di Lima”, che riunisce i Paesi alleati degli USA per fare da contrappeso ai progetti di integrazione regionale intrapresi dai governi progressisti. La politica di Andrés Lopez Obrador riprende i principi progressisti, si volge verso l’America Latina e agisce in favore del multilateralismo. L’immigrazione, bersaglio politico di Donald Trump L’elezione di Andrés Manuel Lopez Obrador ha coinciso con due momenti cruciali nella relazione con gli Stati Uniti: la campagna xenofoba e antimessicana di Donald Trump, eletto nel 2016, e la rinegoziazione del NAFTA. Nell’aprile 2018, in piena trattativa per il rinnovo del NAFTA e nel bel mezzo della campagna per le presidenziali messicane, Donald Trump ha qualificato i migranti messicani di “stupratori e criminali”, minacciandoli di espulsione. Ha lanciato la costruzione del muro alla frontiera e ha inviato la Guardia nazionale al confine col Messico per – secondo lui – arrestare la migrazione e frenare il traffico di droga. Mentre per Donald Trump l’immigrazione è una minaccia e un argomento per accattivarsi un elettorato facilmente xenofobo, per Andrés Manuel Lopez Obrador e per il Messico questo flusso migratorio va considerato sulla base delle ragioni che lo muovono. La politica delle “braccia aperte” del nuovo governo messicano prometteva ai migranti giunti sul suolo messicano l’accesso a posti di lavoro e permessi di residenza. Ma pochi volevano restare in Messico, attirati dal miraggio di una vita migliore negli Stati Uniti. Subito dopo la sua elezione, nel 2018, Lopez Obrador ha inviato una lettera al suo omologo statunitense, affermando la propria volontà di stabilire una relazione basata sul mutuo rispetto, sul rigetto di qualsiasi conflitto, sulla cooperazione e sul dialogo. In essa spiegava le politiche proposte: l’adozione di progetti per lo sviluppo del sud del Messico che integrino i Paesi dell’America Centrale, con la creazione di infrastrutture quali la costruzione di una ferrovia a livello dell’istmo di Tehuantepec, dalle coste del Pacifico alle coste del Golfo del Messico, destinata al trasporto di merci e idrocarburi e allo sviluppo del turismo. Nella penisola dello Yucatan un’altra ferrovia, il “Treno Maya” è destinata anch’essa allo sviluppo turistico. Questi progetti fanno parte di un piano più ampio, il “Piano integrale di sviluppo” per l’America centrale, che prevede investimenti pubblici e privati ed aiuti per stimolare la creazione di posti di lavoro. Per Lopez Obrador questi grandi progetti potrebbero essere il “sipario finale”, che muterebbe i flussi migratori, e gli USA potrebbero associarsi partecipando al loro finanziamento. Sono state adottate altre misure: sono state ridotte le imposte dirette ed indirette negli Stati frontalieri ed aumentati fortemente i salari; l’aumento è stato maggiore nelle regioni di frontiera con gli Stati Uniti. In un primo tempo, l’amministrazione Trump si era mostrata favorevole e si era impegnata a contribuire con 5,8 miliardi di dollari ad un progetto che prevedeva la partecipazione del FMI e della Banca Mondiale. Il Messico, dal canto suo, aveva annunciato un contributo di 25 miliardi di dollari su cinque anni. Appena qualche giorno dopo l’annuncio dell’accordo, gli Stati Uniti hanno deciso di rispedire verso il Messico – senza consultare il governo messicano – gli immigranti centroamericani arrestati o richiedenti asilo. Città del Messico si è quindi trovata davanti al fatto compiuto e ha dovuto accogliere migliaia di persone, in aggiunta ai nuovi arrivi. Donald Trump voleva costringere il Messico a diventare un “Paese terzo”, che avrebbe dovuto incaricarsi al posto delle autorità statunitensi delle procedure necessarie per acquisire lo status di rifugiato, oppure di procedere alle espulsioni, cosa che il governo messicano non voleva accettare. Cinque mesi dopo, nel maggio 2019, mentre la Ministra del Commercio presentava al Senato messicano la versione negoziata del NAFTA e mentre 144.000 persone erano riuscite a traversare la frontiera nord, Donal Trump annunciava con un tweet l’imposizione di tasse doganali del 5% sulle esportazioni messicane, ritenendo che il Messico non faceva abbastanza per fermare l’emigrazione, e dava 45 giorni al governo messicano per cambiare le cose, altrimenti le tasse sarebbero passate al 25%. Una decisione simile potrebbe avere delle conseguenze gravi per il Messico, che destina l’80% delle sue esportazioni agli USA. E una guerra commerciale, con rappresaglie da parte messicana, farebbe scattare un ingranaggio che potrebbe solamente aggravare la situazione degli 11 milioni di messicani senza documenti che vivono e lavorano negli USA e che mandano alle loro famiglie oltre 37 milioni di dollari. Queste rimesse costituiscono un aiuto importante per 12 milioni di famiglie messicane e rappresentano il 3% del PIL del Paese, cioè quanto le esportazioni di automobili prodotte in Messico. In una seconda lettera a Donald Trump, il presidente Lopez Obrador riaffermava il proprio rifiuto di soluzioni mediante misure coercitive. Per lui, la parola d’ordine di Donald Trump “America first” (“Prima l’America”) è solo illusione. «Io non manco di coraggio – ha affermato – non sono né un codardo né un timido; agisco secondo dei principi e credo nella politica che, tra l’altro, è stata inventata per evitare i conflitti e le guerre». Per evitare una guerra commerciale, il Messico ha rinunciato a portare il differendo alle istanze previste per la soluzione dei conflitti, nel quadro dell’OMC o del trattato stesso, ed ha accettato di accogliere le persone espulse pur rifiutando di diventare un “Paese terzo” e di deportare i migranti respinti alla frontiera nord. 6000 membri della Guardia nazionale sono stati disposti lungo la frontiera sud del Paese (erano 10.500 nel settembre 2020) e i controlli sono stati rafforzati; 893 funzionari dell’Istituto della migrazione, incaricato di ricevere i migranti, sono stati licenziati, accusati di corruzione; 357 persone sono state arrestare per traffico di persone e sono state smascherate 18 reti che organizzavano questo traffico. Nel corso della presentazione, nel settembre 2020, del “Piano migratorio e di sviluppo” messo a punto dal governo messicano, il Ministro degli affari esteri, Marcel Ebrard, ha annunciato una diminuzione del 75% dei passaggi alla frontiera nord (36.000). Contemporaneamente il numero delle domande di asilo rivolte al governo messicano è aumentato del 70%. Nel 2019, il numero di deportati dagli Stati Uniti era di 179.271 centroamericani e 211.283 messicani. Queste cifre vanno confrontate con il numero di espulsioni effettuate sotto il governo Obama: 461.000 nel 2018 e 405.000 nel 2019, il che mostra una continuità tra le due amministrazioni per quel che riguarda le politiche di deportazione. Il Messico imprigionato nella camicia di forza del NAFTA Come previsto a partire della sua entrata in vigore nel 1994, il Trattato di libero scambio che lega gli USA, il Canada e il Messico doveva essere rivisto intorno al 2019. Donald Trump ha preteso la sua rinegoziazione, affermando che fosse il “peggior trattato della storia” e accusando il Messico di approfittarne a scapito degli Stati Uniti. Si è anche dichiarato pronto ad uscirne, poi ha cercato di imporre ai suoi partner degli accordi discussi bilateralmente. Infine, ha accettato di negoziare a tre quello che ormai viene chiamato “Trattato Messico-Canada-Stati Uniti” (T-MEC o USMCA in inglese). La nuova versione del trattato prevede, tra le principali misure adottate, che le produzioni scambiate abbiano un contenuto del 75% di parti fabbricate in uno dei tre Paesi del T-MEC (prima era il 62,5%) e che il 40% delle automobili siano prodotte in fabbriche che pagano salari di almeno 16 dollari all’ora. Malgrado l’aumento del 50% del salario minimo stabilito dal governo (10 dollari nella frangia frontaliera, 6,90 al giorno nel resto del Paese), i salari messicani restano molto al di sotto di questa soglia. Donald Trump si preoccupa poco dei redditi dei lavoratori, quello che gli interessa è la rilocalizzazione della produzione automobilistica negli Stati Uniti. Già in passato aveva costretto i grandi produttori a rimpatriare negli USA gran parte della loro produzione, con la minaccia di imporre loro delle tariffe doganali e con l’offerta di sovvenzioni. Il T-MEC rappresenta una grande posta in gioco per il Messico, data la dipendenza del Paese dal mercato USA, che assorbe l’85% delle sue esportazioni. L’automobile rappresenta il 36% del valore esportato. Il Messico resta anche fortemente dipendente dai capitali USA, che rappresentano il 46% del totale investito in Messico, mentre il Canada rappresenta solo il 6%. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, anche il Messico rappresenta una grossa posta in gioco per 28 stati dell’Unione. E’ il primo partner commerciale del Texas, che vi esporta il 38% dei suoi prodotti, così come dell’Arizona (41%), del Nuovo Messico (45%), della California (16%). La camicia di forza dei Trattati di libero commercio L’adesione del Messico al T-MEC ha una dimensione squisitamente politica. L’accordo rappresentava un’astuzia per rendere irreversibili le trasformazioni neoliberiste messe in atto dal governo di Carlos Salinas de Gortari, a partire dal 1988. Le ultime “riforme” adottate dal governo di Enrique Peña Nieto nel 2018 hanno aperto la strada alla privatizzazione della compagnia Petroleos de Mexico (PEMEX) e della Compagnia Federale dell’Elettricità (CFE). Un centinaio di contratti sono stati firmati con grandi società per lo sfruttamento degli idrocarburi e la produzione di elettricità. Il presidente Lopez Obrador ha posto al centro della sua strategia di sviluppo il recupero del settore energetico, ponendo un freno alla privatizzazione di PEMEX e CFE. Nel corso della trattativa sul NAFTA, ha ottenuto che il settore dell’energia resti fuori dal trattato e che sia riconosciuto “il diritto assoluto, sovrano del Messico di decidere in materia di politica energetica”. In questo modo, il Messico si riserva il diritto esclusivo di sfruttare il petrolio e il gas e di rifiutare degli investimenti in questo settore. E’ stato pubblicato un decreto che modifica la Legge dell’industria elettrica, dando la priorità alla CFE per la produzione e la distribuzione dell’elettricità. I contratti sottoscritti con le compagnie private, a volte conclusi grazie a tangenti e bustarelle, saranno rivisti e le sovvenzioni che venivano loro distribuite saranno bloccate. Per quanto riguarda gli idrocarburi, la PEMEX sarà consolidata grazie ad investimenti pubblici e verranno avviate delle raffinerie per il raffinamento del petrolio, favorendo la sovranità energetica. Il Messico importa attualmente tra il 70 e il 90% dei carburanti consumati. Lo Stato non accorderà nuove concessioni ai capitali privati e, come per la CFE, i contratti firmati saranno rivisti. Queste nuove disposizioni hanno scatenato la collera dell’iniziativa privata messicana e degli investitori statunitensi ed europei (in particolare Iberdrola e Repsol). Molto prima dell’adozione della legge da parte del Parlamento messicano, Mike Pompeo (il Segretario di Stato dell’amministrazione Trump), Dan Brouillere (Segretario all’energia), Wilbur Ross (Segretario al commercio) ed alcuni congressisti statunitensi si sono rivolti a Donald Trump per denunciare l’intenzione del governo di Lopez Obrador di privilegiare la PEMEX e la CFE a scapito delle compagnie private. Lo stesso segretario dell’OCSE – il messicano José Angel Gurria – si è unito a questa offensiva, reclamando il rispetto degli impegni presi dai governi precedenti. Gli investitori messicani, dal conto loro, hanno fatto appello alla giustizia messicana, argomentando che la nuova legge viola i trattati di libero scambio firmati dal Messico, ed hanno iniziato dei processi presso la giustizia messicana, per bloccare la messa in atto della riforma. Da parte sua, il presidente messicano ha annunciato che è pronto a modificare la costituzione per far fronte a questi attacchi. Le compagnie invocano le regole scritte nel T-MEC . Questo trattato riprende delle regole dell’Accordo di partenariato transpacifico che protegge gli investimenti privati. L’appartenenza del Messico al T-MEC potrà creare degli ostacoli per altri importanti cambiamenti messi in atto dal governo. E’ il caso, per esempio, della decisione di trasferire il mandato di regolamentazione delle telecomunicazioni (radioffusione e televisione) dall’Istituto federale delle Telecomunicazioni, che è un organismo autonomo incaricato di favorire la concorrenza, al Ministero delle Telecomunicazione, poiché il T-MEC obbliga i Paesi a sottomettere questo settore ad una regolamentazione “indipendente”. L’elezione di Joe Biden, una nuova fase nelle relazioni bilaterali ? Con l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti, Andrés Manuel Lopez Obrador sembra aver trovato un alleato, almeno per quanto riguarda la sfida posta dalle migrazioni. Le misure previste nel quadro della Legge sulla cittadinanza lanciata da Joe Biden convergono con i progetti del Presidente messicano: regolarizzazione di 11 milioni di sans papiers, di cui la maggior parte sono messicani; fine della politica che obbliga il Messico a prendere in carico i migranti espulsi; riunificazione delle famiglie. Durante il loro primo incontro, il 1° marzo scorso, l’immigrazione è stato al centro degli scambi di vedute: i due mandatari si sono trovati d’accordo sull’idea di aiutare lo sviluppo dell’America centrale e degli Stati del sud del Messico. Joe Biden ha proposto un contributo di 4 miliardi e – secondo Lopez Obrador - «tutto ciò nel rispetto dei diritti umani dei migranti». Si è anche parlato in quell’occasione della necessità di organizzare e regolamentare la migrazione, tenendo conto dei bisogni di mano d’opera per le economie dei tre Paesi del T-MEC. Contrariamente a quello che si aspettavano l’opposizione e il padronato messicano, Joe Biden non ha chiesto nulla al suo omologo riguardo alla politica energetica; il che non significa però che in futuro non possano presentarsi dei contrasti. In ogni caso, è stato creato un gruppo di “alto livello” guidato da Marcel Ebrard ed Anthony Blinken, responsabili delle relazioni internazionali dei due Paesi, allo scopo di «evitare gli ostacoli e risolvere i contrasti e trattare tutti gli aspetti relativi al T-MEC». Il presidente Lopez Obrador ha voluto evitare di cadere nel tranello di Donald Trump, un meccanismo senza fine o senza uscita, nel momento in cui deve imporre le sue riforme. L’elezione di Joe Biden sembra aprire una nuova fase, senza l’aggressività propria dell’autoritarismo e dell’arroganza di Donald Trump. Ma altre questioni potrebbero essere fonte di divergenze e di disaccordi: il Messico non ha riconosciuto la presidenza di Juan Guaidó in Venezuela, sostenuta da Washington, ed agisce a favore di una soluzione dei problemi interna al Venezuela, senza ingerenze esterne e sulla base di un dialogo tra le parti. Evo Morales è stato esfiltrato dalla Bolivia su un aereo delle Forze aeree messicane ed accolto a Città del Messico, quando la sua vita era minacciata dal colpo di Stato del novembre 2019, accolto con favore da Donald Trump. Il Messico si è opposto all’elezione del candidato sostenuto da Washington al posto di Segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani e ha proposto asilo politico a Julian Assange. Riuscirà la nuova relazione a favorire un’evoluzione fondata sul dialogo.   *Fonte: pubblicato originalmente in Cahiers de l'Institut de Documentation et de Recherche sur la Paix (IDRP); Mars-Avril 2021