Di Nicolas Bourcier e Bruno Meyerfeld
L’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, 75 anni, ha riconquistato i diritti politici all’inizio di marzo. Dieci giorni dopo l’annullamento delle sue condanne, ha rilasciato un’intervista a Le Monde in videoconferenza. E’ del tutto negativo sul Brasile di Jair Bolsonaro, messo in ginocchio dalla pandemia. «Non ho mai visto la mia gente soffrire come oggi», ha detto questa icona della sinistra latinoamericana. Che si è detto pronto a candidarsi nel 2022, ma anche a sostenere chi fosse in grado di vincere.
I capelli si sono incanutiti, come la barba. Ma Lula conserva la sua straordinaria energia. Leader della sinistra brasiliana, ora che ha riconquistato i suoi diritti politici è determinato a battere Jair Bolsonaro alle elezioni del 2022, e sta seriamente valutando la possibilità di candidarsi.
Si candiderà alle presidenziali del 2022 contro Jair Bolsonaro?
«È difficile dire oggi semplicemente sì o no. La decisione del giudice Edson Fachin all’inizio di marzo ha provato la mia innocenza, anche se con cinque anni di ritardo. Per anni 210 milioni di brasiliani sono stati ingannati, costretti a credere alle bugie del giudice Sergio Moro e dei pubblici ministeri di “Lava Jato”, che si sono comportati come dei veri gangster. La verità ora è pubblica. È tutto quello che volevo. Quindi, mi sta chiedendo se mi presenterò nel 2022? Sinceramente non lo so. Ho 75 anni. Nel 2022, al momento delle elezioni, ne avrò 77. Se sarò ancora in salute e ci sarà una convergenza tra i partiti progressisti sulla mia candidatura, beh, allora non vedo alcun problema. Ma sono già stato candidato prima, e sono stato presidente per due mandati. Posso anche dare il mio appoggio a qualcuno che abbia buone possibilità di farcela. La cosa più importante è non lasciare Jair Bolsonaro alla guida di questo Paese».
Come vede la situazione in Brasile oggi?
«Sono in politica dagli Anni ’70 e non ho mai visto la mia gente soffrire come in questo momento. Si muore all’entrata degli ospedali, è tornata la fame. E, di fronte a ciò, abbiamo un presidente che preferisce acquistare armi da fuoco, piuttosto che libri e vaccini. Il Brasile è guidato da un presidente genocida. È davvero molto triste. Quello che la gente vuole è ciò che il Partito dei Lavoratori ha offerto in un passato molto recente: uno stipendio, un lavoro, vaccini, istruzione, crescita. Penso che sia possibile ricostruire un Paese più umano. Durante la mia presidenza, il Brasile aveva il 4,5% di disoccupazione, un salario minimo che aumentava ogni anno. Era una specie di miracolo, la sesta potenza mondiale. Scherzavo con i miei colleghi francesi e inglesi, dicendo loro: “Presto vi sorpasseremo e minacceremo la Germania!” Tutto questo per dire che il popolo brasiliano merita di meglio dell’attuale governo».
Intende allearsi con gli altri partiti di sinistra, o anche con il centro e con la destra?
«Amico, sono una persona coerente! Il PT, alle elezioni presidenziali, ottiene sempre almeno il 30% dei voti al primo turno. Ma la maggioranza è del 50%, più un voto. Quindi, ovviamente, se il PT vuole vincere, deve allearsi. Le ricordo che quando ho vinto nel 2002, ho scelto José Alencar come vicepresidente. Un imprenditore laborioso, onesto e di centrodestra che è stato il miglior vicepresidente che questo pianeta abbia mai conosciuto. Quindi il PT in passato ha saputo stringere alleanze e lo farà in futuro. Ma qui ribadisco una cosa: ho sempre governato per tutti i brasiliani. Ho governato anche per banchieri e dirigenti d’azienda. Ma la mia priorità saranno sempre i più poveri, i lavoratori, gli abitanti delle periferie. Perché il dovere del PT è permettere l’ascesa sociale di questa popolazione e porre fine alle diseguaglianze, in un Paese segnato da 350 anni di schiavitù».
A più di dieci anni dalla sua uscita di scena, la sinistra brasiliana non sembra aver prodotto nuovi leader della sua statura. Perché?
«Quanto tempo ci è voluto alla Francia per produrre un Kylian Mbappé o uno Zidane? Molto tempo, no? In politica è la stessa cosa. Le sinistre europee impiegarono almeno un secolo per produrre un François Mitterrand o un Willy Brandt. Che è molto tempo. Ma le ricordo che il PT ha diverse figure importanti, che potrebbero benissimo candidarsi alle elezioni presidenziali. Questo partito è un produttore di talenti, dall’ex presidente Dilma Rousseff all’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad».
Ha 75 anni e nel 2020 è rimasto per molto tempo isolato a casa. Come si sente fisicamente e psicologicamente?
«Quando sono uscito dalla prigione federale, il mio primo viaggio è stato a Roma, un’intervista a Papa Francesco per parlare di una campagna che ho lanciato per combattere le diseguaglianze nel mondo. Ho poi incontrato i rappresentanti della società civile e i dirigenti con cui ero in contatto. Penso che non sia possibile vedere persone accumulare milioni di dollari mentre ci sono centinaia di milioni di persone che vanno a dormire senza avere abbastanza da mangiare. Durante questa pandemia, la disoccupazione e la fame sono aumentate. Non è tollerabile. Di ritorno in Brasile il 12 marzo, la pandemia era già arrivata. Sono stato confinato. Mi è apparso chiaro che il Paese era diventato l’epicentro dell’epidemia. Cosa possiamo dire con 3000 morti al giorno? È responsabilità del nostro governo. Io mi prendo quindi le mie per dedicarmi alla gestione di questa crisi. Ho già preso una dose del vaccino. Tra quattordici giorni avrò la seconda. Trascorro le mie giornate facendo incontri su Internet dalla mattina alla sera».
Questa settimana, il Brasile ha superato i 280 mila morti. Se fosse il capo dello Stato, cosa avrebbe fatto?
«Quando ero presidente c’è stata la crisi dell’influenza H1N1. In tre mesi abbiamo vaccinato 83 milioni di persone. Il Brasile, con il suo sistema sanitario unico, aveva esperienza e know-how nel campo dell’immunizzazione. Con l’arrivo di Temer e Bolsonaro, il nostro sistema, lodato da tutto il mondo, è stato distrutto.
Al manifestarsi del Covid 19, un presidente capace di governare avrebbe creato un comitato di crisi. Avrebbe chiamato il ministro della Salute e i migliori scienziati del Paese. Questo comitato si sarebbe riunito una volta alla settimana e avrebbe tenuto informata la società brasiliana. Scelto le misure da adottare. Cosa ha fatto il nostro governo? La prima cosa che ha detto è che non credeva nella malattia.
Bolsonaro ha detto infatti che il Covid è una “piccola influenza” e che, essendo un membro dell’esercito, non l’avrebbe presa. Ha inventato la storia della clorochina. E ne ha comprate milioni di dosi da Donald Trump. Si è fatto ingannare come un bambino che va a comprare le caramelle. Ha speso milioni per acquistare questo prodotto inefficace contro il virus. Oggi continua a dire che indossare una mascherina è un segno di codardia e debolezza. Bolsonaro è un ignorante. Crede che rifiutando di ammettere la gravità della pandemia, l’economia ripartirà. L’unica cura è vaccinare il popolo brasiliano».
E altrove?
«Dall’inizio della pandemia né il G20 né il G8 si sono riuniti per parlarne. È urgente farlo! Mi appello al presidente francese Macron: convochi il G20. Chiami Joe Biden, Xi Jinping, Vladimir Putin e gli altri. Siamo in guerra, questa è la terza guerra mondiale e il nemico è molto pericoloso. Il vaccino non dovrebbe essere una merce come è oggi, ma diventare un bene comune per l’umanità».
Il cantante Chico Buarque ha spiegato che in Brasile si è diffusa una «cultura dell’odio». Lei stesso è oggetto di un odio feroce. Come vive questa situazione?
«L’odio non è brasiliano. Se c’è un popolo amorevole e umano su questo pianeta, è il popolo brasiliano. Ma queste persone negli ultimi anni sono state bombardate da discorsi di odio e fanatismo che hanno soffocato la politica. Prima, se s’incontrava un avversario politico brasiliano in un ristorante, gli si stringeva la mano. Oggi si rischia di essere presi a fucilate. Dobbiamo smantellare tutto questo.
La democrazia è esattamente l’opposto: è civiltà, maturità. Questo Paese ha bisogno di pace, non di armi. Ciò è necessario perché dal 20% al 25% della popolazione è assorbita dal fanatismo. Ma le persone hanno bisogno di lavoro, di libri, di investimenti nella cultura. Questo è ciò che dobbiamo recuperare in Brasile. E la gente sa che c’è un partito che è capace di farlo: è il PT».
Riceve molte minacce di morte. Teme per la sua vita?
«No, non ho paura. La mia unica paura è di tradire il popolo brasiliano».
Si preoccupa per i procedimenti legali che devono ancora venire?
«Sono fiducioso, tranquillo. Sono sicuro che oggi il giudice Moro e il procuratore Dallagnol (magistrato coordinatore dell’operazione “Lava Jato”, ndr) non hanno nemmeno una frazione della mia serenità. Sono loro i colpevoli, e sanno che sono innocente. Questo è quello che dicevo in prigione: la verità vincerà, ed è ciò che sta accadendo».
Traduzione di Carla Reschia
Fonte: La Stampa 23/3/2021