di Giorgio Ceriani, Resp. Esteri della Federazione di Roma e Marco Consolo, Resp. Area Esteri e Pace PRC-SE
Domenica 7 febbraio avranno luogo le elezioni presidenziali e politiche in Ecuador.
Il processo della “Revoluciòn Ciudadana”, iniziato da Rafael Correa, presenta le candidature dell'economista Andrés Arauz e del comunicatore Carlos Rabascall, rispettivamente candidati alla presidenza e alla vicepresidenza dell'Ecuador, attraverso la lista elettorale “Unión por la Esperanza"(Lista 1). Dall'annuncio di queste candidature, c'è stato un violento attacco contro questa lista, sia da parte dei media, che dei partiti di destra e dei loro candidati, nonché da istituzioni interne ed esterne finanziate dagli Stati Uniti.
Il movimento, che originariamente si chiamava “Alianza Pais”, fu creato dall’economista Rafael Correa nei primi anni 2000. Da subito acquisisce radici popolari e un programma anti-neoliberista e antimperialista. Correa ha governato il Paese dal 2000 al 2017. Ma malgrado Alianza Pais abbia rivinto le elezioni del 2017 presentando Lenin Moreno, non ha potuto continuare la sua opera trasformatrice, dato che Moreno ha realizzato una svolta di 180° in alleanza con i partiti della destra e l’oligarchia, aprendo una stagione di politiche neoliberali subalterne al FMI ed al governo statunitense.
Non solo. Dal 2017 è iniziata una persecuzione contro Alianza Pais e le forze popolari. Utilizzando la “guerra giudiziaria” come in altri Paesi, la reazione ha fatto uso politico della magistratura, dei media e di settori della struttura militare e di polizia, che avevano già provato a far cadere il governo Correa. E’ così che si aprono decine di processi contro lo stesso Correa, si incarcerano diversi dirigenti politici, tra cui il vice-presidente eletto, Jorge Glass (ancora in carcere) e la Prefetta “correista” di Pichincha, Paola Pabón, mentre numerosi dirigenti hanno dovuto chiedere asilo politico o lasciare il Paese. Il governo Moreno ha inoltre impedito la candidatura di Correa e dei dirigenti perseguitati, l’uso della lista “Alianza pais” e poi di un’altra, l’uso di ogni riferimento alle conquiste e ai simboli della “revoluciòn ciudadana”.
In queste ore, in cui Lenin Moreno è in visita a Washington, le autorità elettorali lasciano intravedere l’intenzione di annullare le elezioni, visto che la formula progressista è largamente in testa ai sondaggi.
La linea di attacco fondamentale cerca di collegare il candidato Arauz con decisioni e progetti in cui vi era presunta corruzione e cattiva gestione, durante la sua presenza nel governo Correa: si diffondono informazioni false preparate dall'ambasciata statunitense a Quito, e le si affidano ai candidati di destra per usarle nella loro campagna elettorale.
Di certo, il bilancio sociale della gestione Moreno è disastroso: disoccupazione di massa, salari e pensioni da fame, aumento dei prezzi derivati dell’alto costo delle importazioni; il reddito contadino e dei popoli originari che vivono della piccola proprietà agricola e comunitaria è ridotto al minimo. I piccoli produttori sono stati parte importante del gran movimento popolare che alla fine del 2019 è sceso in piazza contro il governo che propiziava nuovi indebitamenti con il FMI e l’aumento del prezzo della nafta.
L’avvento della pandemia per Covid ha peggiorato ulteriormente la situazione. La gestione clientelare della rete ospedaliera pubblica e lo svuotamento del personale medico e del materiale sanitario, hanno reso la popolazione molto più vulnerabile, producendo un alto numero di vittime e il lugubre spettacolo dei morti nelle strade di Guayaquil.
La grande mobilitazione dei popoli originari, seguita da quelle contro il tentativo di rovesciare Paola Pavòn a Pichincha, e contro il tentativo di esclusione elettorale della lista, ha animato la resistenza popolare e fa ben sperare per queste elezioni. Dopo la schiacciante vittoria del MAS di Evo Morales in Bolivia, la scadenza elettorale in Ecuador può riaprire le porte ad un governo progressista che rafforzi la contro-offensiva popolare nel continente, e un cambio di passo dell’intera regione dopo le vittorie di Messico e Argentina e Bolivia. Quest’ultima, con la guida di Luis Arce e David Choquehuanca, si appresta a reintegrarsi all’ALBA e promuove il ripristino delle diverse forme di integrazione latinoamericane non subordinata ai diktat della Casabianca.
Ma l’esito delle elezioni non è affatto scontato e la posta in gioco è il mantenimento di un governo neo-liberista o l’avvento di un altro governo progressista nel continente. Un panorama che Washington vede come il fumo negli occhi.
In Ecuador, Correa è colui che meglio aveva interpretato le lotte per la sovranità che attraversavano il continente e che negli anni 80-90 si sintetizzavano nella richiesta popolare “la deuda no se paga” (il debito non si paga). Nel 2007 il governo Correa sottopone a un audit il debito dell’Ecuador ed in particolare il “debito ingiusto” reclamato da FMI, Banca Mondiale e Chicago boys, ristrutturandolo e negoziando nuove condizioni più favorevoli. Nel 2008, una partecipata assemblea costituente redige una costituzione di avanguardia nel continente. Questa prevedeva il controllo e la partecipazione popolare, diritti pieni per la popolazione (sia nazionale che emigrata) e per la “madre terra”, le nazionalizzazioni e il rispetto dei beni comuni e auspicava il “buen vivir” e la pace, con la chiusura della base militare statunitense di Manta.
La Revoluciòn Ciudadana è stato un processo che ha avuto molta influenza nei lavoratori equadoregni emigrati. Ricordiamo che sono oltre tre milioni coloro che hanno dovuto lasciare il paese come conseguenza dell’assalto bancario ai risparmi privati (feriado bancario) e della “dollarizzazione” di fine anni 90’. L’ispiratore di quelle “riforme”, il banchiere Guillermo Lasso, è la carta dell’oligarchia e di Washington e oggi corre per la presidenza nelle file di CREO.
I lavoratori equadoregni all’estero sono impegnati di due “lotte di classe” simultanee. Da una parte, come lavoratori stranieri nel nostro Paese, reclamano diritti sociali e politici da cittadini. Dall’altra, si battono per migliori salari, pensioni e condizioni per le loro famiglie in Ecuador a cui inviano le proprie rimesse (la seconda voce dell’economia nazionale dopo il petrolio), nonostante la pandemia ha ridotto queste risorse, con le conseguenti sofferenze da parte delle famiglie degli emigrati.
Anche in Italia, siamo quindi coerentemente impegnati a collaborare con la campagna degli immigrati equadoregni che si battono per il binomio Arauz-Rabascall e per l’appoggio ai candidati al Parlamento x l’Europa. Molte e molti di loro li abbiamo incontrati nel movimento per il diritto all’abitare, nelle mobilitazione per la libertà di Assange ed in quelle per la difesa dei governi progressisti in America Latina, nel lavoro politico quotidiano, in particolare a Roma, Milano, Genova e Savona.
Pochi giorni fa, abbiamo realizzato un incontro on line con dirigenti della Revoluciòn Ciudadana e la candidata al Parlamento, con quasi duemila visualizzazioni.
E una delegazione della Sinistra Europea (con la presenza di Rifondazione Comunista) sarà presente in Ecuador in qualità di “Osservatore elettorale”, così come lo è stata in Bolivia e Venezuela.
Così come in altri scenari mondiali, siamo e saremo al fianco della liberazione dei popoli latino-americani.
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